La Mia Etiopia!

1 Agosto 2013

20130731_pubblicate_14_ridimensionare.JPG
Il desiderio di intraprendere questo viaggio, era vivo in me da mesi ed era più forte di tutti i timori, che in realtà si sono paventati alla vigilia della partenza.
Sto parlando della paura di affrontare un viaggio, non solo nel senso consueto della parola, cioè della scoperta di un nuovo Paese, ma del cammino che porta alla conoscenza di una parte nascosta di se stessi. Sono in Etiopia da quattordici giorni e le sensazioni, le idee e le emozioni sono numerose e confuse, difficili da esprimere obiettivamente.
Per ora ho un’unica certezza. Questo Paese mi ha travolto tutti e cinque i sensi, fin dall’arrivo all’aeroporto ad Addis Abeba.
L’olfatto ed il gusto sono pervasi da odori e sapori forti. In particolar modo, dalle spezie che vengono utilizzate per cucinare cibi, che nonostante alcuni piccolissimi problemi, sto apprezzando.
L’udito è affascinato dal richiamo dal Muezzin e dalle preghiere provenienti dalla chiesa ortodossa; da una lingua a me incomprensibile; dai versi degli animali; dalla folla e dalle risate dei bambini.
Se penso al tatto, mi vengono in mente la terra, le numerose strette di mano e i ripetuti abbracci.
Infine, la vista che sta catturando immagini. Penso che rimarranno indelebili, nonostante le mille foto scattate. Mi riferisco ai colori vivi della natura, grazie alla stagione delle piogge; alla presenza di diverse culture; al traffico caotico; all’incontro con occhi incuriositi, quasi quanto i miei. Ed è proprio su questi ultimi che vorrei soffermarmi. Lo sguardo delle persone del posto ci accompagna ogni giorno e nonostante continuino a spiegarmi che ci osservano perché stupiti, felici o infastiditi dalla nostra presenza, in realtà questo rimarrà un tassello che mi manca e quasi sicuramente non comprenderò neanche alla fine di questo viaggio.
Al mio ritorno in Italia, quando mi chiederanno dell’Etiopia, sono cinque le parole che potrei utilizzare: diversità, bellezza, allegria, crescita e speranza.
AMASEGHENALLO ETIOPIA!!! (Grazie Etiopia!!!)
Valentina D’Arco

Pubblicato in Etiopia 2013 |

L’Africa chiama. Chi rispone?

25 Luglio 2013

Questo post è dedicato a chi, dell’ Africa, pensa di aver già capito tutto. A chi parte per evadere. A chi l’Africa non la capirà mai e a chi non vuole capirla perché la ritiene un pezzo di mondo di cui, tutto sommato, si può fare a meno. A chi, come me, non basterà una vita per capirla. A chi parte per realizzare, per fare, per cambiare il mondo. La prima cosa che ho imparato dopo aver mosso i miei primi passi in questa terra è che si tratti di grandi o microprogetti, l’Africa è prima di tutto “scuola di vita”. La seconda è che per apprezzare l’Africa si deve uscire dagli schemi della propria cultura, della propria educazione. Spogliarsi di un po’ di se stessi (ma non nella stagione delle piogge perché fa piuttosto freddino..). Superare i nostri pregiudizi. La terza è che avere la possibilità di venire in Africa non è un sacrificio ma un privilegio. “Dove vai quest’estate?” “Vado in Etiopia con LumbeLumbe” e parte subito lo sguardo di pietà o di ammirazione “poraccia questa come sta messa che se ne va in Africa in mezzo alla povertà” oppure “che coraggio, ti stimo!”. Qua non si tratta di coraggio né di stima. Si tratta di capire che la questione africana è “roba nostra”. Che la questione sociale ha ormai una dimensione globale. L’Africa ti interroga ogni secondo dal momento del tuo arrivo. Ripensi a quanto siano davvero necessarie tutte le cianfrusaglie che riempiono le nostre case e spesso le nostre vite e non lasciano spazio ad altro. A quei sogni che hai dovuto togliere dal cassetto perché non ci stavano più, per fare più spazio alle cose. Ripensi al fatto che per te esce acqua dal rubinetto ogni mattina per tutte le volte che vuoi. Pulita, calda, frizzante, molto frizzante, leggermente frizzante, con poco sodio … . Pensi alla classica domanda di tua madre “cosa vuoi mangiare oggi pasta, carne o pesce?” “Sushi o indiano?”. Pensi a come un solo foglio e una matita possono cambiare la giornata di un bambino. La verità è che davanti a questi bambini, davanti ai loro occhi grandi e scuri, davanti ai loro sorrisi, ti senti subito in debito. Vi avverto: è qualcosa che non ti levi più di dosso. Da quel momento in poi non puoi più fingere o ignorare che questa parte di mondo non esista. Pensi a come è ridotta la nostra scuola pubblica, a come sono ridotte le nostre aule e allo scarso rispetto che abbiamo oggi verso l’istruzione e la cultura nel nostro paese. Dove crediamo di stare talmente bene che abbiamo pensato che essere belli come i vip da copertina sia più importante di formare le future generazioni. Perché oggi bisogna essere belli anche per fare politica. A come tutto è una passerella continua. Senza curarci del fatto che i nostri ragazzi sono ridotti ad automi che non comunicano, con cuffiette e smartphone sempre addosso. In Africa, prima ti meravigli e poi ti vergogni per come, anche in un’aula senza vetri alle finestre, spoglia e fatta di poco. Fatta di niente. Si senta l’odore fortissimo del rispetto per il “sapere” per l’imparare. E quando suona la campanella i bambini africani prima di uscire dall’aula ti abbracciano, ti baciano e ti dicono “See you tomorrow teacher!” E se ne vanno a casa con un sorriso.
Ambra, Etiopia 2013

Pubblicato in Etiopia 2013 |

Amici di LumbeLumbe

24 Luglio 2013

dopo qualche giorno di permanenza uno degli aspetti che mi ha sorpreso di questa realtà è la relazione che i bambini etiopi hanno con la Terra.
I bambini che ho avuto modo di conoscere, partendo da Teresa e Mary (le figlie di Paolo Caneva, nostro corrispondente qui in Etiopia) fino a Ganet e gli altri alunni della scuola di Nazareth, amano andare a piedi nudi. Non è una questione di igiene o di miseria, perché i sandali probabilmente li hanno, ma ho intuito che sentono la necessità di avere contatto con la madre terra, sentirsi parte di Essa, quasi come attraverso questo contatto possano mantenere e coltivare le loro radici. La polvere è il minimo comun denominatore qui in Etiopia, essa copre tutto indistintamente e sento giorno dopo giorno che, come disse il giornalista Maurizio Di Schino, “la polvere ti entra nei polmoni e nell’anima”.
Questa relazione tra bambini e polvere l’ho verificata sul monte che domina Addis Abeba. Abbiamo incontrato dei bambini che giocavano sul ciglio della strada, naturalmente scalzi, e ci siamo trattenuti con loro nell’attesa di degustare il caffè tradizionale etiope. Con solo un bastone e un paio d’occhiali abbiamo iniziato a giocare e ho visto in loro la sorpresa, il divertimento, la gioia dell’incontro. Parlavano solo l’amarico, ma il linguaggio dei gesti, del gioco e del divertimento abbatte qualsiasi barriera culturale e linguistica. Così un gesto, come l’abbraccio forte e sincero di Samuel e Yashmeda, supera ogni tipo di ostacolo e va dritto nel cuore.
Un altra occasione di incontro con i bambini è stata oggi, 22 Luglio, alla scuola di Nazareth, in un’aula con 25 bambini dai 4 ai 6 anni, composti, dignitosi e soprattutto curiosi, mi ha fatto riflettere. È stata una mattinata intensissima, il loro stupore nel vedermi giocare col pallone mi ha conquistato. Il dono di un sorriso, uno sguardo e la loro spontaneità mi ha inondato al punto di farmi commuovere.
Queste emozioni resteranno sempre con me, fanno ormai parte di ciò che sono e diventerò.
Luigi Marchetti
 

Pubblicato in Etiopia 2013 |

Bairro Lixeira

24 Luglio 2012

Bairro Lixeira, municipio Sambizanga, Luanda. E’ qui che vive una parte di quegli otto milioni di persone, dato stimato, che gravitano nella capitale dell’Angola. Per vedere gli occhi dell’umanità, il gruppo di LumbeLumbe, composto da Alberto, Anna Rita, Cecilia, Laura, Nicoletta, Paola, Roberta, Stefano, qui per un’esperienza di solidarietà legata al corso di orientamento alla cooperazione, ha avuto il privilegio di essere accompagnato attraverso le ruas (strade) di questo quartiere, benedetto dalla presenza dei Salesiani di Don Bosco.
Insieme ad Osvaldo, e alla sua musica rap, sabato pomeriggio abbiamo attraversato a piedi parte della Lixeira, un immenso agglomerato urbano di baracche cresciuto su una discarica. Dalla Casa del Volontario, che ci ospita, situato in uno dei cinque centri Salesiani diretti da Padre Santiago, abbiamo raggiunto il Centro per ragazzi di strada, al Trilhos (quartiere ferrovia), dove operano anche Richard, Larissa e Marcellina. E’ solo un percorso di un quarto d’ora ma è un tempo necessario per vedere e percepire cos’è l’umanità. E’ naturale dare ragione a Padre Santiago che di questo posto occorre “parlare delle cose belle, e non di quelle brutte”. E le cose brutte non mancano di certo, dalla mancanza di fogne alle strade dissestate, dalle baracche fatiscenti, ma pulite, alla mancanza di qualsiasi servizio, una giungla desertificata all’interno della città, ma, soprattutto, la povertà che è madre e compagna ora, e forse per sempre, della maggioranza di chi vive qui.
Ma le cose brutte, almeno per chi vede l’Africa per la prima volta, scompaiono, o almeno vengono fortemente offuscate, dagli sguardi di queste persone. Sguardi in cui abbiamo visto dignità, forse non serenità. Rassegnazione? Può darsi, anche se la sensazione è che ci sia una grande energia, che porta sì alla sopravvivenza ma anche alla speranza. Abbiamo visto la gioia negli occhi dei bambini che abbiamo incontrato nelle ruas, in quelli che, dal cortile della scuola dei Salesiani ci chiamano “amigo”, in quelli che stanno uscendo dalla libertà e dall’anarchia della strada per vivere in una comunità, in tutti quelli che, dopo la Messa della domenica, dal Trilhos ci hanno riaccompagnato mano nella mano alla struttura dove siamo ospiti. Sono stati loro a prenderci la mano e sono stati loro le nostre guide attraverso  quello che è il loro mondo, fatto di giochi per strada, di quizomba (danza tipica angolana) del legittimo desiderio di immaginare un futuro per loro stessi, della timidezza con cui ti dicono il loro nome ma, soprattutto, in quel sorriso che arriva dritto al palpito del cuore e ti fa intuire che non può esserci un posto migliore di questo per chiedersi cos’è una persona, cos’è l’umanità, per pensare, e mettere in discussione l’attuale globalizzazione.
Alberto Filippone ed il gruppo LumbeLumbe
 

Pubblicato in Provincia di Macerata, Formazione Roma |

Cronache di uno (stra)ordinario week end all’Aucca

28 Maggio 2012

E niente, praticamente m’hanno fatto sveglià all’alba per andà su sto posto sperduto che per trovà la strada non te la racconto … te dico solo che non piglia il cellulare. Ma ‘nsomma arrivo là, c’erano un po’ de tipi, facce viste … Figurati che i nomi ancora non li so.
Immagina, arriva sta psichià… sta psicò… sta dottoressa, che ce fa mette tutti in cerchio e se comincia.
La prima attività era sto gioco sull’astronavi, in pratica tipo guerre stellari no? Solo che dovevi sceglie l’equipaggio, chi parte e chi resta a casa. Perché bisogna andà su sto nuovo mondo, solo che non te poi portà a tutti. C’erano un po’ de personaggi: un fascistone, uno sbitto col fucile, uno che correva, un’altra che cucinava … Poi un architetto, un prete, una dottoressa, una sedicenne incinta, una prostituta e sto falegname cieco … Insomma, un branco de sfigati! E chi te voi portà??? E invece cinque te li dovevi portà per forza, quindi, parla che te riparla, abbiamo scelto i meno peggio … Che invece erano i peggiori! Te pareva! Il falegname era un depresso, la prostituta era un trans, l’architetto uno de quessi che se magna solo l’erba, la dottoressa … solo de nome, la sedicenne … poraccia, pure l’AIDS c’aveva! Insomma, un macello!
Morale: a ragionà per pregiudizi ce se po’ sbaglià de grosso!
Poi per mezz’ora, non ho capito se era un punizione, c’ha fatto fa ‘ste cose da fricchettoni, cioè tipo dovevi sentì i rumori della natura, entrà in ascolto, facce un disegnino …
Morale: che se te stai zitto dù minuti, magari t’accorgi de tutto quello che c’hai intorno!
E poi lascia perde! Abbiamo fatto il gioco: compra ‘na vocale! Abbiamo buttato su la Filarmonica dell’Aucca, che l’orchestra della Rai non ce vedeva proprio!
Morale: un po’ d’autoironia non fa mai male! Anzi, a pensacce meglio, fa bene all’autostima!
Grazie a Dio pure la psicologa magna… e quindi ‘na gran magnata!!!E che ‘na penneca non te la fai?
Il pomeriggio se ricomincia!
Abbiamo iniziato ‘st’attività sulla banalizzazione … va bè, questa te la racconta alla fine!
E poi hanno tirato fori ‘ste riviste del 15-18 … e n’altra volta ‘sta storia dell’astronave e del nuovo mondo, aridaje! Stavolta però invece che 5 persone te dovevi portà due cose. Che io non ho capito, visto che eravamo in tanti, solo due cose ce potevamo portà! Comunque, iniziamo a discute, chi se vole portà quesso, chi se vole portà quello … Ma alla fine nessuno ha rinunciato a niente, perché più o meno quello che ce volevamo portà, a guardà bene, era lo stesso: la natura e volemose bene! Che te lo dico a fà!
‘Nsomma, dopo che ce siamo lanciati una palla e dù sguardi, ce siamo salutati.
Ah! Dimenticavo! L’attività che te stavo a dì prima, la banalizzazione del discorso …consisteva …BOH!!!!
 

Pubblicato in Provincia di Macerata |

La tavolozza della speranza

4 Maggio 2012

Sono tornata a casa con le mani sporche di acrilico, con una tavolozza disegnata sui palmi e sulle dita, con addosso la gioia dell’infanzia di aver potuto mescolare i colori con le dita. “Mi sono sporcata le mani” posso dire citando Italo Governatori, presidente di LumbeLumbe, e i suoi racconti sull’Africa. Mi sono sporcata le mani nella casa di contrada Aucca, a Penna San Giovanni (Mc), ospite di nonno Raffaele, che l’ha costruita, anche lui, con le sue mani, mattone dopo mattone, insieme ai compagni di corso di solidarietà e di cooperazione internazionale, organizzato da LumbeLumbe. Dall’Aucca è partito il cammino per costruire, tutti insieme, il nostro progetto “dal 12 al 12”, realizzato insieme alla Provincia di Macerata, alla Comunità Montana dei Monti Azzurri, ai Comuni di Sarnano, Penna San Giovanni, Sant’Angelo in Pontano e Monte San Martino, che ci porterà in piazza, nel capoluogo maceratese, il 12 giugno per celebrare la “Giornata mondiale per il contrasto allo sfruttamento del lavoro minorile”. Piazza dove saranno esposte tele colorate delle dimensioni del quadro di Picasso “Guernica”, 3,5 per 7,8 metri. Noi corsisti, insieme ai tre angeli custodi dell’arte, Alessandro, Federica, Sara, arrivati ad aiutarci dall’Accademia di Belle Arti di Macerata, ai “romani” Roberta, Annarita, Stefano e Roberta, una felice coppia “immortalata” nel lavoro collettivo, ai pennesi Silvia e Sebastian, gentili salvatori del mio materassino per dormire, abbiamo vissuto tre intensi, e impegnativi, giorni del workshop per diventare Team Leader di Scream-Supporting Children’s Rights through Education, the Arts and the Media, una metodologia costruita per coinvolgere i giovani sul tema dello sfruttamento minorile. Un percorso in cui siamo stati guidati da Maria Gabriella Lay, già funzionaria dell’Ilo, l’Organizzazione internazionale del lavoro, e da Alberto Filippone, con esperienza pluriennale e internazionale nella formazione di giovani sulle metodologie SCREAM, all’anagrafe un trentenne ma, in realtà, credo un “highlander” dell’aula. Tre giorni “protetti”, oltre che dai loro antenati, da Italo e dalla paziente Ersilia, che hanno messo a disposizione la loro bellissima casa, in una collina marchigiana degna di essere protagonista dello spot che pubblicizza le nostre uniche Marche. Un cammino cominciato con un’avventura quasi pre-Angola. Con una decina di auto, impossibilitate a seguire la guida “speedy” di Italo, padrone del territorio e delle curve su strada sterrata, siamo finiti completamente fuori luogo, persi in una radura a ridosso del fiume Salino. Per fortuna che i contadini hanno sempre coltivato, oltre che la terra, vie alternative alla fame e ai campi. Siamo così scappati da una situazione imbarazzante seguendo la nostra guida che, nel frattempo, aveva moderato la velocità. Il programma di Maria Gabriella e Alberto è durato tre giorni, la mattina, il pomeriggio e anche la sera, con ritmi imposti dal “sabaudo” giovane formatore, forse erede di qualche generale delle truppe piemontesi scese nelle terre del papato in epoca risorgimentale. Comunque, Maria Gabriella ci ha illustrato il funzionamento delle Nazioni Unite e delle sue agenzie, in particolare dell’Ilo da cui è partita la missione di combattere lo sfruttamento del lavoro minorile, ci ha spiegato i valori legati a SCREAM mentre Alberto ci ha messo subito in mano penne, fogli e colori e ci ha tirato fuori tutto quello che c’era dentro di noi, creatività, emozioni, pensieri, idee, proposte, da mettere in campo sul tema dello sfruttamento minorile. Entrambi ci hanno accompagnato, e ci hanno garantito che continueranno, nella strada per diventare formatori del programma SCREAM, a nostra volta, di ragazzi e bambini delle scuole della provincia di Macerata. Dopo questa preparazione, e dopo una domenica sera in cui si respirava aria di festa, peccato il Varnelli fosse così poco, il lunedì ci siamo concentrati sulla nostra grande tela, allestita all’interno dell’ex scuola di Penna San Giovanni (Mc) e realizzata partendo da un bozzetto condiviso da tutti. Ognuno ha messo quel che poteva. Qualcuno ha avuto un’ottima impronta per disegnare, la maggior parte di noi si è cimentato nell’arte del colorare. Ci hanno accompagnati, direi mano nella mano come “frichi” (bambini in vernacolo marchigiano) della pittura social-contemporanea, Alberto e i tre artisti, ormai anche loro parte del percorso, senza possibilità di uscita almeno fino al 12 giugno, e credo anche dopo. Hanno dato il loro contributo il nostro Max Volpe e anche le coordinatrici di Comunità Montana e Comuni, coinvolti nel progetto, che hanno messo sulla tela la loro esperienza di insegnati e di educatrici. Una lunghissima giornata passata letteralmente in ginocchio a costruire l’immagine della nostra visione dello sfruttamento minorile. Non è un’opera d’arte, forse non verrà esposta all’Onu, magari ci arriverà solo in foto, ma rappresenta tutto il nostro sentire. Sabato la finiremo, credo più gli artisti che noi corsisti, ma tutti insieme la guarderemo soddisfatti perché fra quei colori, quelle forme, quelle espressioni, ci sono i nostri cuori. E, soprattutto, c’è il risultato di questi tre magnifici giorni in cui, nella casa di nonno Raffaele, siamo entrati singoli corsisti e siamo usciti come un gruppo affiatato, ricco di gioia e di risate. Un gruppo che, ormai, è sulla strada dell’impegno sociale, della consapevolezza, della “responsabilità”, come direbbe Maria Gabriella, dell’uguaglianza, in cui, scusate la retorica, io ci credo ancora. E, se volete, possiamo urlarlo insieme.
Paola Cimarelli
 

Pubblicato in Provincia di Macerata |

29 Marzo 2012

Dopo la lezione della Prof Maria Gabriella Lay ed in particolare dalla visione del  video, nel quale si evidenzia come alcuni prodotti di uso comune e di grande impatto commerciale, emergono sacrifici umani, sopprusi alla dignità, tribolazione e degenerazione…. IN QUANTO questi prodotti vengono realizzati da bambini non tutelati dai diritti e condannati alla schiavutù, è scaturita questa riflessione che si è poi tradotta in colore.

"La polvere del denaro offusca la vista" e ci fa perdere la consapevolezza del NOSTRO futuro

Pubblicato in Provincia di Macerata |

It doesn’t matter if you’re black or white. I’m not going to spend my life being a color. MJ

13 Marzo 2012

Lui è Charly. E’ senegalese e vive in Italia da un po’ con sua moglie ed un bimbo piccolo.
In estate, nei fine settimana, prende spesso il treno per San Severino e vende i suoi braccialetti.
Un giorno lo vidi con indosso una veste bianca, bella, luminosa: mi spiegò che la teneva per ricordare il giorno dell’indipendenza nel suo paese.
Accettò volentieri di farsi una foto insieme. Quando avvicinai la mia mano alla sua, in quel modo, captai la sua sorpresa, e poi commentò ridendo : “ ringo!? ”. L’effetto difatti è proprio quello di panna e cioccolato, o caffè e latte. Colori diversi, ma non solo : culture , religioni , lingue, vite differenti insomma … Eppure comunicazione c’è. Quest’anno, lavorando nella mensa dell’università, ho avuto la fortuna di conoscere diversi ragazzi stranieri. Tentare di capire l’altro mi è sempre piaciuto e suscitato interesse, anche se poi non è sempre possibile. Cerco sempre di conoscere, e apprendere da chi, culturalmente, vede la vita in maniera diversa dalla mia. Godfrey è un ragazzo ugandese e studia farmacia. Inizialmente fu parecchio diffidente. Un giorno a pranzo presi iniziativa e gli dissi : “ Lo so, qui non conoscono il matoke, mi dispiace”. E sorrisi. Ho visto luce e stupore nei suoi occhi, allo stesso tempo. Poi siamo scoppiati a ridere.
Quel termine ugandese funzionò come chiave d’accesso : da allora, quando capita, sediamo addirittura allo stesso tavolo e accompagniamo il pranzo conversando. Dopo la laurea spera di tornare nel suo paese e lavorare come informatore farmaceutico o nel campo della ricerca.
Tuhin è un ragazzo del Bangladesh. Studia biosciences and biotechonology. Comunica solo ed esclusivamente in inglese ma è particolarmente interessato alla cultura italiana e vorrebbe apprendere la lingua. Parliamo quasi tutti i giorni in chat e anche con lui è capitato diverse volte di pranzare o cenare insieme.
Michael è invece un venditore ambulante di origine nigeriana. Vive in Italia ma ha la sua famiglia in Ucraina : moglie, e due figli piccoli.
E’ una persona gentilissima. Un sabato d’estate, poiché passò verso l’ora di pranzo, chiesi ai miei il permesso di farlo pranzare con noi. Quel giorno, insieme ai miei e mia sorella, ebbi la gioia di avere a tavola anche lui. Due anni fa, decisi di mia iniziativa di preparare circa cento biglietti per augurare un buon Natale a tutti gli anziani della casa di riposo nel mio paese : il giorno della vigilia andai con un’amica per distribuire i pensierini. Alcuni di loro baciarono la foto dell’angioletto sul biglietto come fosse un santino. E furono contenti di quel gesto come se avessero ricevuto chissà cosa. Io entrai nel ricovero con incertezza e timore; ne uscii con una sensazione di appagamento, e lo spirito del Natale appena ritrovato. Non ho esperienze nel campo della cooperazione, purtroppo. Io colleziono con gioia momenti di solidarietà e condivisione come questi. Ne faccio tesoro. E non guardo la diversità in una persona insomma, ma il cuore.
Sarei un’ipocrita se dicessi che il diverso non mi colpisce: mi colpisce, ma nel senso più positivo del termine. La diversità si nota, è vero, ma non lascio che mi influenzi, o peggio, mi limiti, mi freni. Son del parere che le diversità altrui siano motivo di crescita e miglioria per la persona.
E’ inutile andare contro il diverso perché omosessuale o perché nero : ognuno di noi pur appartenendo alla stessa cultura, è comunque differente nel suo essere (potremmo andare contro tutti allora). Ma questo non è un male, tutt’altro. Ciò che mi dà rabbia è approfittarsi delle differenze e il fatto che esse vengano spesso confuse con le diseguaglianze. La differenza c’è, esiste, è un dato fattuale : avere un certo colore di pelle, piuttosto che un altro. La diseguaglianza è invece giudizio di valore. E giustificare un atteggiamento nei confronti di qualcuno perché possiede determinate caratteristiche innate, diverse dalle mie, è sbagliato e inutile : non conduce a nulla di positivo, ancor meno costruttivo, anzi ,distrugge. Due amici della stesso paese sono essi stessi diversi tra loro: uno più timido, l’altro più estroverso; uno credente, l’altro ateo. Eppure, condividono la vita. Se io andassi in Africa, potrei continuare a considerare diverso il bambino di colore, scarno, che indossa un paio di mutandine e se ne va scalzo per il villaggio?Potrei invece essere io il diverso ai loro occhi?
Nella cultura occidentale rientra nella concezione di diverso tutto ciò che si allontana dalla nostra tradizione. Ma un italiano, non è tanto diverso da un americano quanto può esserlo un indiano? Tutto dipende insomma dall’ottica con cui si osserva. E come si osserva. Diverso è spesso tutto ciò che si discosta dalla norma. Ma il concetto di norma è relativo, è una convenzione. Inutile porsi in un piano superiore. La comunicazione è già tanto difficile di per sé, troppo, piena di inconvenienti e incomprensioni, e noi la complichiamo creando barriere impenetrabili. Pensando alle difficoltà di approccio che si possono avere quando ci troviamo di fronte qualcosa o qualcuno “di nuovo”, mi viene in mente un assioma del metodo comparativo.
Quando il giurista effettua una comparazione tra ordinamenti giuridici, ha il dovere di porsi in una condizione di neutralità assoluta, perché la comparazione esige un esame imparziale che non comporti una stima del loro valore. Lo scopo è quello di studiare i vari modelli per individuarne differenze e somiglianze, e colmare possibili lacune presenti nel proprio modello, prendendo spunto dagli altri. Questo è possibile per quel giurista che si spoglia dei criteri di valutazione appartenenti al proprio ordinamento, per assumere piuttosto, criteri interpretativi propri dei singoli ordinamenti. Allo stesso modo fa il sociologo, ad esempio, l’antropologo, ecc.
Insomma, tutto questo a parer mio dovrebbe essere trasportato nella quotidianità, ogniqualvolta abbiamo l’occasione di rapportarci con l’altro, con qualcuno che anche solo leggermente si presenta comunque differente da noi … Come fossimo, in un certo senso, piccoli comparatisti.
E ci arricchiremo. Non siamo costretti a condividere ciò che non ci piace, ma possiamo ed è giusto rispettarlo.
E’ un po’ come quando sta nascendo un’amicizia con una persona. Qualcosa di lei ci piacerà, qualcosa forse meno. Possiamo accettare e condividere ciò che non ci piace se la voglia di averla come amico è più grande, oppure decidere di terminare lì la conoscenza, mantenendo rispetto…… continua

Lucia Palmioli

Pubblicato in Provincia di Macerata |

“adeus adeus amigo adeus…” arrivederci arrivederci amico arrivederci

13 Settembre 2011

 

“adeus adeus amigo adeus…” “não importa o lugar…”(arrivederci arrivederci amico arrivederci non importa il posto…)
“não fique triste eu vou partir mas voltarei…” (non essere triste..io devo andare… ma tornerò)
Nessun’altro addio è stato mai così emozionante… Facevamo il conto alla rovescia da una settimana…ma non era un conteggio gioioso e scalpitante, piuttosto una presa di coscienza del tentativo mal riuscito di bloccare il tempo…
“Já foram três semanas?Jà???”… sì, già sono trascorse 3 settimane.. sono volate… abbiamo vissuto ogni attimo assaporandolo fino in fondo… abbiamo dato il meglio di noi in ogni piccola cosa… siamo entrati nella vita di moltissime persone..e moltissime persone sono entrate nella nostra… gli occhietti tristi dei bambini dopo aver saputo che ce ne saremmo andati trasmettono emozioni indicibili ed è impossibile non promettere di “voltar” (tornare)… torneremo… non sappiamo quando ma torneremo.. è una promessa…
Un bimbo tenerissimo ci fa diversi disegni con dedica ringraziandoci per l’allegria, per le “brincadeiras”(i giochi) e per ogni momento vissuto insieme e augurandoci tutto il bene possibile… altri ci regalano le “pulseiras” (i braccialetti) di cui si privavano con una felicità impressionante… altri corrono a cogliere dei fiori e ce li portano.. un altro ci regala un lecca-lecca che aveva in tasca…
I loro visi… ogni istante vissuto insieme resteranno per sempre nel mio cuore… ”o vosso sorriso marcou meu coração” (il tuo sorriso è impresso nel mio cuore mio cuore)… anche le stupende suorone tenerone ci riempiono di regali… e noi non possiamo far altro che strapazzarle di coccole… tutti sono dispiaciuti per la nostra partenza.. da giorni ci ripetono che avranno moltissima “saudade” (nostalgia) di noi… sapessero quanta ne ho già io…
Il “carro” è pronto… il “motorista” pure… i ragazzi pre-novizi nostri amici però stanno ancora dicendo le orazioni mattutine… appena terminate si precipitano a salutarci… ci abbracciano forte.. e io anche… cuore a cuore… nel tentativo di sentirci uniti per l’ultima volta… nel tentativo di fonderci… per restare insieme… corrono a prendere la chitarra, il recu recu ed il battuque e iniziano a salutarci come si deve… con canzoni angolane di addio… è iniziato tutto cantando e “finisce” cantando… l’emozione e l’affetto che proviamo tutti li percepirebbe anche un cieco… ho imparato anche io quelle canzoni che risuonano nell’aria ormai da giorni e le canto insieme a loro con tutta la voce che ho, perchè questo è il modo più bello, più puro, genuino e fantastico di ringraziarli di tutto… di ogni parola scambiata…dei miliardi di risate… degli scherzi… del bene che ci hanno dimostrato…
Mi mancheranno tutti da impazzire.. .mi mancherà il funji (polenta fatta con farina di mandioca).. l’odore delle sardine a colazione con cui ho imparato a convivere … mi mancherà tutto… ma proprio tutto!!
Ma non è un addio… è uno stupendo ARRIVEDERCI… questo è poco ma SICURO!
“foi tão bom para caminhar convosco, mas é impossível esquecer o passado e é assim que eu queria fazer a minha vida convosco… adeus amigo adeus… o vosso sorriso marcou meu coração”
(è stato stupendo camminare con te.. .ma è impossibile dimenticare il passato.. io avrei voluto passare tutta la mia vita con te… addio amico… il tuo sorriso è inciso nel mio cuore)
Giulia Giulietti

Pubblicato in Formazione Roma |

Viajar de barco (viaggiare con la barca)

31 Agosto 2011

 

Sono le 6.30 qui a Dondo. Il sole sta sorgendo lentamente ma è coperto da un fitto strato di nuvole che rende questa mattina angolana particolarmente fredda rispetto a quello che ci si aspetterebbe dalla calda Africa.
Io ,Paola e Giulia ci stiamo dirigendo insieme a tre prenovizi del centro dei salesiani, verso il fiume Kwanza,un’imponente corso d’acqua distante solo poche centinaia di metri dai nostri alloggi. Il programma di oggi consiste nel prendere una barca per raggiungere i villaggi più lontani situati in mezzo alla foresta. Oltre ad essere un modo piacevole e divertente per spostarsi all’interno della regione, la barca rappresenta soprattutto una necessità: qui in Angola la rete stradale lascia molto a desiderare, nonostante le recenti opere di costruzione di nuove vie e la ristrutturazione di quelle già esistenti, le strade sono poche e dissestate e per arrivare nelle zone rurali si è costretti a spostarsi su percorsi sterrati molto scomodi.
L’imbarcazione che ci attende è lunga circa cinque metri,il giusto per accogliere noi,i prenovizi e altre quattro persone che ci accompagnano con relativi bagagli. Il paesaggio che ci circonda lungo il tragitto è meraviglioso: piccole radure si alternano a foreste molto fitte da cui spiccano maestosi i baobab,alberi enormi che raggiungono i venti metri di altezza da cui si ricava un frutto utilizzato per fare i gelati.
Dopo circa due ore cominciamo ad avvistare i primi insediamenti. Decidiamo di dividerci in tre gruppi in modo tale da poter visitare villaggi diversi e interagire con più persone. Io e Avelin siamo gli ultimi a scendere. Appena sbarcati veniamo calorosamente accolti dal capo villaggio e dal maestro,insieme ai quali ci dirigiamo verso la chiesa,una piccola casetta di legno e lamiera costruita su una collina. Il villaggio è piccolo e molto povero,la maggior parte dei bambini vanno in giro nudi o con pochi stracci,sono sporchi e presentano segni evidenti di malnutrizione. La vista di questi bimbi cosi malridotti sarebbe uno spettacolo molto duro da vedere,ma ormai i nostri occhi si sono abituati a scene come queste che costituiscono una dura realtà ,quotidiana, in questo paese.
Le persone in chiesa sono poche,sei-sette adulti e cinque bambini. Il maestro mi spiega che il motivo di questa partecipazione cosi modesta è dovuto al fatto che i bambini invece di studiare sono costretti ad andare a pescare,che è l’unica vera attività economica del paese in grado di sfamare la gente,e quindi costituisce l’unico futuro possibile per i ragazzi. Dopo il catechismo andiamo a giocare con i bambini,avevamo portato un pallone ma se ne sono impossessati i ragazzi più grandi,e Avelin mi spiega che non ci si può fare niente . Dopo un’oretta passata a giocare arriva il momento di mangiare. Il pranzo è semplice a base di pesce,pomodori e patate,viene preparato su una tavola di legno appoggiata per terra. Ancora una volta nonostante la semplicità e l’ovvia modestia del nostro pasto rimango colpito per l’incredibile generosità della gente,pronta a mettere a disposizione di tutti quel poco che ha.
Tiziano Luce

Pubblicato in Formazione Roma |