Archivio del 2009

Luena 16 Aprile 2009

Venerdì 30 Ottobre 2009

Può un popolo assoggettato a quattrocento anni di pura violenza, nuovo di una guerra senza frontiere,  ricominciare a vivere in nome di Dio e dell’Amore?

Quanto va giustificata l’espressione ‘violenza genera violenza’?

É giusto ritenere ‘normale’ che il bambino battuto da piccolo batta a sua volta da grande, o si rischia di giustificare così tutti gli atti di violenza?

Dalla rete che divide la mia casa da quella del vicino, urlando con il sapore delle lacrime sulle labbra chiedo ancora una volta a quella ragazza di smetterla, di lasciare quel bastone di ferro a terra, Luiza piegata in avanti urla disumanamente quando il bastone le tocca le vertebre sporgenti, o quando con forza affonda nel suo cranio, cerca di ribellarsi, si agita, cerca di fuggire, ma è inutile.

Il cuore mi si riempie di rabbia, la vista tende quasi a diminuirmi, i miei buoni principi sono già andati a farsi fottere,  le mie richieste si sono trasformate in insulti, farei qualsiasi cosa pur di fermarla, poi Luiza quasi esausta cade a terra e l’incubo finisce.

Luiza è la figlia adottiva della  mia vicina di casa, è la figlia abbandonata di un suo lontano cugino, che lei ha deciso di accogliere in casa.

Luiza è la figlia adottiva della  mia vicina di casa,  non si avvale di una discendenza diretta dal capo famiglia, non ha diritti, ha solo doveri.

Luiza è la figlia adottiva della mia vicina di casa, qualsiasi cosa succeda, la colpa ricade su di lei.

Luiza è la figlia adottiva della mia vicina di casa, stamattina è stata massacrata da una ragazza di pochi anni piú grande con un bastone di ferro perché non voleva andare a prendere l’acqua al fiume.

Luiza è la figlia adottiva della mia vicina di casa ed ha un ritardo mentale, a volte ha difficoltà a capire che cosa le viene chiesto.

Luiza è la figlia adottiva della mia vicina di casa destinata forse a morire a causa di una incomprensione.

Luiza è la figlia adottiva della mia vicina di casa, ha un ritardo mentale e con una voce carica di dolore stamattina ha urlato:

“Non sono la tua schiava, la schiavitú è finita.”

Ho letto tanto nella mia vita, credo di aver passato metà della mia vita a leggere, sono dottoressa in storia e cultura del Brasile, una ex-colonia portoghese al di là dell’Oceano Atlantico dove dalla metà del cinquecento sono stati deportati milioni di schiavi angolani. Quanti trattati sulla schiavitú avrò letto? Ho assistito a dossier, ho visto film, documentari, ho letto testimonianze ma fino a stamane non avevo idea di che cosa significasse davvero la parola schavitú e di quanto questo germe possa entrare nella vita di un popolo ed infettarne le viscere e cibarsi di esso.

Ho letto tanto nella mia vita, poi oggi ho visto.

 

Valeria Pennella

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Luena 12 Aprile 2009—Pasqua

Venerdì 30 Ottobre 2009

Emozioni, sensazioni, sorprese, preghiere, si chiude oggi una settimana intensa, piena, soprattutto di noi.

Da dove cominciare a descrivere questi meravigliosi sette giorni…… da qui:

i bambini del Moxico non piangono, i bambini del Moxico si sentono forti, protetti, i bambini del Moxico sanno di essere la ricchezza delle loro mamme.

Per strada le donne, le giovani e le non, camminano portando legati alle spalle i loro piccoli che come scimmiette si aggrappano sostenuti da un panno cinto ad arte sui fianchi di coloro che gli hanno dato la luce, e felici di aver ottenuto un passaggio che durerà anni osservano il mondo.

Ci sono studi e riceche effettuati nei paesi sviluppati che sostengono che la prossimità fisica del bambino alla mamma aiuti a crescere in lui un senso di fiducia e di tranquillità, non so come sia ma il legame madre figlio qui va al di là di un semplice marsupio.

Guardo ammirata, stamane in chiesa, ieri notte e sempre, la cura che le mamme, a volta appena ragazzine ripongono nell’educare e crescere i loro figli, sono sempre presenti, sempre vigili, sempre dolcissime, illuminando col loro amore semplici gesti, semplici carezze o sguardi che vicendevolmente si concedono.

Il Moxico è la terra dei sentimenti espressi, non è difficile incontrare per strada ragazzini che si tengono per mano o che si fanno una carezza, padri e figli, anche non piú tanto piccini che si scambiano teneri affetti.

Nel Moxico non esiste la parola ‘diverso’, le menomazioni fisiche non sono consideate tali, essere una giovane ragazza inferma del Moxico, mancante di un braccio o di una gamba, significa assolutamente non badare alla differenza, essere stati storpiati dalla poliomelite non ti impedirà di sposare un giovane aitante e bellissimo, a volte ho quasi l’impressione che in questa terra le persone siano capaci di vedere quella che sei, al di là dell’aspetto fisico.

Giovedì Maria José Flavia e Felicidade si sono svegliate presto per caricare il pick-up, le attendevano tre giorni di preghiera e di oratorio in un villaggio distante 300 km da qui, piú o meno sei ore di viaggio fra elicotteri abbattuti, carriarmati e terreni minati. Ci siamo salutate, poi Maria José mi ha lasciato un pacchetto nelle mani, conteneva una preghiera e un crocifisso intrecciato da lei la sera precedente usando le cortecce del legno utilizzato in settimana pe costruire un odjango.

 Alcune cose non hanno prezzo, lasciamo la nosra famiglia per andare lontano, ma ci rendiamo conto nel cammino che quella alle nostre spalle era ed è solo una piccola parte di una piú grande famiglia sparsa nel mondo.

 

Valeria Pennella

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Luena 6 Aprile 2009

Venerdì 30 Ottobre 2009

-          Sveglia Valeria, o faremo tardi al mercato!

Non è tardi affatto, ma Flavia si è svegliata prima e le diverte battere alle porte la mattina presto, nascondersi al buio della notte negli angoli vuoti della casa, qualche giorno fa mi ha chiuso nella stanza dove stipiamo i cibi, in compagnia di un ratto: è una persona meravigliosa, ha sempre la forza per una nuova risata, sola al mondo e nonostante questo con una voglia di vivere che le trasuda dagli occhi.

Arriviamo al mercato quasi alle 9:00, i prezzi sono alti anche qui, ma un poco piú accessibili, le strade sono piene di rifiuti, sacchi del riso riempiti di terra si stringono forti gli uni agli altri in una precaria ed instabile passerella che permette di attraversare i blocchi di banchi.

C’è tanto pesce secco, tante montagnette di vermi, katato come li chiamano qui, specie di lombrichi che mangiano come accompagnamento di una polenta mista, il funji per l’appunto.

I banchi di carne sono pochi, c’è solo  pollo, la verdura è relegata a poche decine di banchi ed è davvero molto costosa.

Le mosche sono le padrone del mercato, volano dal pollo al pesce ai rifiuti, ai tantissimi monti lasciati all’aria di zucchero, farina, sale e ti si lanciano addosso rapide, intense, come proiettili.

In alcune zone l’odore è forte, sono tentata di coprire il naso con la mano, ma poi il rispetto per questo popolo prende il sopravvento e finisco per abituarmi all’odore portando a casa solo un lieve mal di testa come effetto collaterale.

Contrattare sul prezzo delle cipolle piuttosto che delle patate mi rimanda ai mercati della mia città, dopo circa tre ore riusciamo a portare a casa riso, piselli, patate, cipolle, una zucca, che non manca mai nella nostra cena e venticinque chili di riso, possiamo ritenerci soddisfatte.

Avremmo bisgno di comprare il pane, ma scendere in città dove sono i panifici è un pò rischioso, non abbiamo i documenti della macchina, che abbiamo inviato a Luanda per il rinnovo, e la polizia potrebbe crearci non pochi problemi.

Stanche per l’intensa mattinata e con le teste calde per il tanto sole torniamo a casa pronte ad affrontare una nuova settimana angolana.

 

Valeria Pennella

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Luena 5 Aprile 2009 ‘Domingo dos Ramos’

Venerdì 30 Ottobre 2009

É giá arrivata la Domenica delle Palme, Daniele è via a Cangumbe, Maria José batte con forza alla mia porta:

- Sveglia Valeria, o ci perderemo la processione.

In cucina la colazione è già pronta, quella di ieri non era affatto l’ultima pioggia, piove ancora, ma questa volta è lenta sottile non da quasi fastidio, vestiamo gli impermeabili e ci dirigiamo all’ingresso del Campo Santo, da lì partirà la processione, per strada Felicidade pocura qualche foglia di palma che intrecciamo per prendere parte alla funzione.

Il cammino dal cimitero alla chiesa non è molto, lo si percorre però adagio, le strade sono coperte di fango, le donne intonano canti in Cokwe, anche la messa viene celebrata nelle due lingue: quella cokwe appunto e quella dei portoghesi, dei colonizzatori.

Anche in chiesa come sempre riesco ad estranearmi, sono sempre in un altro dove e in un altro momento, è l’effetto della musica che si riversa nella vita di questo popolo.

Sembrano quasi canti goospel, sebbene io di cokwe non abbia ancora imparato quasi nulla, riesco a percepire una forza dettata dalla sofferenza, immagino gli anni di schiavitú, le disumane condizioni di vita, le deportazioni, le sofferenze, poi ritorno con la mente laddove è il mio corpo, in chiesa.

La sala è gremita di persone, donne dalle mille stoffe colorate sulla sinistra,  uomini coi vestiti della festa sulla destra e ancora una volta semplici sguardi mi insegnano una vita: la meraviglia di questo popolo, del popolo del Moxico sta nella capacità di concentrarsi su ció che ha piuttosto che su ció che non possiede.

La messa dura tre forse quattro ore, l’odore è forte ma ci si abitua quasi subito poi il pranzo a casa dei padri salesiani e dritti a casa per un pò di riposo.

Nicola inizia con la sua insofferenza alle quattro mura, non gli piace stare in casa, in realtà perché farlo quando fuori ti aspetta un mondo di sensazioni ed emozioni sempre nuove, appena arriva Italo usciamo di casa e ci dirigiamo al fiume.

Piove ancora, ma abbiamo gli impermeabili, la camminata ha una durata di circa un’ora, un’ora e mezza, fra alberi di banane, siepi di piante che producono lattice, canne da zucchero, case del periodo coloniale risistemate alla meno peggio ed ora abitate, inter cortili tra case di fango e persone animali bambini.

Poi il fiume si apre e dall’alto il macello sovrasta la zona, una nuova emozione, una nuova scoperta, un momento ancora per ringraziare Iddio.

 

 

Valeria Pennella

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Luena 4 aprile 2009

Martedì 20 Ottobre 2009

Piove, un odore di terra acre si mistura a quello dei rifiuti, per strada i bambini sembrano non accorgersi dell’acqua, continuano a giocare, battono gli alberi per far cadere i frutti e si impasticciano nel fango che si sta creando, le galline scuotno le penne, poi ricominciano a beccare.

L’aria è fredda, in casa c’è il silenzio, resto in veranda ad osservare, ad ascoltare  la pioggia, il sovrappensiero mi riporta qui ed ora il belare di una capra selvatica, la pioggia si ferma alcuni istanti, poi ricomincia.

Nessuno semba notarla, eppure la pioggia è fitta, tutto prosegue come sempre, il cielo è coperto e questo mi mette un pò di tristezza.

Di solito quando la nostalgia mi prende mi basta alzare lo sguardo al cielo e allora tutto scompare, la gioia di essere qui sovrasta tutti gli altri stati d’animo.

Il cielo d’Angola, vorrei potervelo spiegare, vorrei potervelo mostrare, magari attraverso una foto, ma sarebbe inutile, non ci riuscirei: di giorno la sua sola vista ti avvicina a Dio, al tramonto si veste di così tanti colori che, nonostane siano già tre settimane che mi fermi ad osservarlo, continua ogni sera a stupirmi, di notte poi  nel bagliore di una luna che fa da guardia, milioni di stelle brillano e splendono e si accendono, e poi si spengono, si avvicinano poi si allontanano, e nasce in me come l’impressione che mi conoscano, che io le conosca, che in realtà facciano parte di me.

Sposto le tende e continuo ad osservare la pioggia che cade, oggi la mia testa è piena di domande a cui avevo promesso da tempo dare delle risposte: quando la freneticità della vita cede il posto ai ritmi della natura il pensiero si riappropria del posto che aveva, le tante cose che avevi dimenticato, o che avevi volontariamente messo da perte  ritornano alla mente, e non puoi nasconderti nel caos della quotidianità e rimandarle a data da definire, arriva il momento di affrontarle, di affrontarsi.

La pioggia diventa sempre piú fitta, aumenta d’intensità e come funghi spuntano bambini da tutti i cespugli e in una corsa senza meta galline capre maiali e bambini si mescolano, tutti verso la stessa direzione, è il temporale.

I ragazzi in casa vengono svegliati dal rumore dei tuoni e dall’acqua che batte sulle lamiere del tetto, Nicola corre con la sua reflex a fotografare la scena, l’acqua è davveo tanta.

Forse questa è l’ultima pioggia, sono giorni che sento parlare di lei, una fitta, intensa, violenta pioggia che sancisce la fine del periodo da chuva e l’arrivo del caldo inverno, due bambini con slip verdi fluo corrono scalzi per la strada, ridono, si divertono, eppure fa freddo, l’aria si sta gelando rapidamente.

Lattine di coca, sacchetti di spazzatura, rifiuti vari vengono trascnati rapidi dal fiume di melma che si è generato davanti casa, alcuni pulcini approfittano del passaggio per ritornare dalla loro mamma, le capre si riparano sotto gli alberi, per qualche ora tutto si cristallizza, sembra di essere in una cartolina di Natale inviata da qualche organizzazione o associazione in ricerca fondi,  poi la piogga termina, è quasi sera, la vita si riversa nuovamente per le strade e tutto sembra essere tornato alla normalità.

 

Valeria Pennella

 

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Cameje 27 Marzo 2009

Venerdì 18 Settembre 2009

Cameje                                                                                                         27 Marzo 

 

Siamo pronti,  si torna a Cameje, dobbiamo controllare se le speranze riposte l’ultima volta sono state vane o se il popolo di api dell’Angola ha deciso di collaborare con noi. Andiamo a visitare un nostro apiario qui installato  l’altro giorno abbiamo notato api ronzare intorno a quattro delle sette arnie adesso è da verificare se ci siano le famiglie all’interno dell’arnia o se era solo un’ispezione di quei curiosi insetti.

Passiamo a prelvare Bento e Celestino, le tute sono state caricate nel pick-up, macchine fotografiche alla mano, binocoli e si parte.

Spero di incontrare nuovamente mandrie di buoi scortate dalle loro  guardie del corpo, gli aironi che qui si comportano un pó come i nostri gabbiani, e dato che qui non c’è il mare, volano appunto sui rifiuti.

L’incontro con le api è stato meraviglioso, le arnie erano davvero popolate da famiglie, qualcuna piú discreta, ha già chiuso le porte di casa con la propoli, preferisce lavorare nella tranquillitá, non vuol ricevere viste, che siano di altri insetti o che siano da parte dell’uomo;  le rispettiamo profondamente sono i nostri primi colleghi di lavoro, non tentiamo neanche di aprire il coperchio dell’arnia, le lasciamo lavorare in pace, solo a maggio quando ci sarà la raccolta del miele faremo la loro conoscenza.

Camminiamo nell’erba alta per diverso tempo, Daniele e Celestino sono molto piú avanti di noi, io sono alla ricerca delle mie bacche preferite, come vengono chiamate in lingua Cokwe jinguenga hanno un sapore un pò acre, ma al tempo stesso dolce, tio Bento mi ha assicurata che sono assolutamente commestibili ed io mi faccio autare proprio da lui nella mia ricerca.

L’incontro con un piccolo camaleonte mi eccita e mi anima tantissimo, corro avanti a chiamare Daniele, so che gli fará piacere osservarlo, e così rallentiamo la nostra marcia e restiamo immobili lì al suo lato.

Qui è tutto così meravigliosamente vero: è vera la mantide religiosa che priva di vergogna si lascia studiare dai nostri occhi mentre si pulisce le zampe e l’antenna, è vero il grillo trascinato dalle formiche che ci taglia il cammino, sono veri quegli uccelli meravigliosi di cui non conosco il nome dal colore bluastro, il becco arancio e la coda piatta e lunga, proprio lunga, sono veri i leoni, due, avvistati nei pressi di Cangumbe, ma questi spero che non mi taglino mai il cammino né che mi diano mai la possibilità di osservarli mentre curano l’igiene personale.

Mentre gli uomini della squadra preparano nuove soluzioni per i coperchi delle arnie, mi arrampico sul pick-up per tirare foto dall’alto e pe osservare meglio l’infinita  Savana che mi circonda, invito a salire su anche Lazaro, il figlio del guardiano del sito di Cameje, lui é proprio solo al mondo , in tutto il villaggio non abita nessuno oltre la sua famiglia composta da quattro persone, non ha amici, non ha nessuno con cui parlare, mi capisce, capisce e parla alla meno peggio il portoghese, gli porgo il binocolo e lo invito a guardare attraverso e l’immensità che si apre nei suoi occhi è ben maggiore di quella Savana che dalla nascita lo nasconde al mondo.

 

Valeria Pennella

 

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Luena 25 Marzo 2009

Venerdì 18 Settembre 2009

Luena                                                                                                         25 Marzo 2009

 

Sono già diversi giorni che sono qui in questa città, non prevedo trasferimenti a breve, inizio ad abituarmi a questa vita, sebbene anche qui non ci siano molti momenti per riposare, gli obiettivi da raggiungere sono tanti, il tempo invece no, cerco di tuffarmi nella mia anima per meglio capirmi.

L’esistenza  qui nella sua nudità piú totale si mostra davanti ai miei occhi per quella che è e con estrema mia meraviglia ciò che un giorno mi inorridiva oggi non mi spaventa piú, la fame non mi sembra più essere la più grande piaga dell’umanità.

Vedo constantemente persone vivere ai margini  della sopravvivenza, ma col sorriso sulle labbra.

Stamattina con Daniele avevamo tanti progetti poi ci hanno avvisati che un aereo  militare avrebbe probabilmente portato in città alcune delle nostre valigie allora abbiamo rimandato tutto a domani, ora è meglio concentrarci sul recupero dei nostri bagagli.

Ci mettiamo in cammino alla solita velocità, penso che non abbiamo mai superato i 15 Km orari da quando siamo qui. Devo fare una piccola divagazione, altrimenti tutto diventa complicato da comprendere:

Luena (o Lwena come si dice in lingua cokwe) è una grande città, o meglio lo era forse in tempi coloniali, ora come il resto dell’Angola, fatta eccezione per Luanda, é un dedalo di strade di terra rossa mista a rifiuti, ma mista proprio nel senso che non si capisce bene dove sia presente l’una, dove l’altra, poi ogni 10, 20 metri pile di immondizia.

L’odore a volte è davvero forte, per fortuna siamo nella stagione delle piogge, sole intenso ma per poche ora e poi acqua che aiuta a lavar via almeno l’odore.

Beh premessa fatta posso continuare il mio racconto.

 Dunque fra un saluto e l’altro ai bimbi della mia strada ne ricevo uno che mi ha lasciata disarmata per ore, un bambino accovacciato su un cumulo di materiale di diversa provenienza, con le calze abbassate intento a defecare sorridendo mi ha lanciato un bacio. Sono arrivata in aeroporto stranita, e il fatto che le nostre valigie non fossero sul volo militare appena arrivato non mi ha toccata affatto, avevo ben altro da digerire e metabolizzare.

Alle ore 15:00 ci hanno chiamati nuovamente, un nuovo aereo era in arrivo,questa volta  siamo riusciti a recuperare parte dei bagagli.

Daniele mi manda avanti, lui resta in macchina, arivo al portellone dell’aereo con le gambe tremanti, non so perché mi fa quest’effetto, ma la polizia di qui mi spaventa a morte: le facce sono serie, dure, rabbiose, l’idea che per trent’anni si siano uccisi eserciti da un lato e dall’altro sminuisce ai miei occhi l’importanza della vita, mi fa sentire come invisibile ai loro occhi, anzi piú che invisibile, priva di qualsiasi valore.

Con un sorriso forzatissimo chiedo al soldato vestito di blu l’autorizzazione ad entrare nella stiva, ma lo scivolo di entrata é troppo alto perché io lo raggiunga, l’uomo del quale non ricordo assolutamente il volto piuttosto che rispondermi, si avvicina, mi cinge la vita con un braccio e sono dentro, nella stiva. Cerco fra i vari pacchi e trovo alcune delle  nostre valigie, ringrazio e di nuovo con un semplice movimento del suo braccio sono giú, sta volta in compagnia di tre borsoni.

Devo ancora abituarmi alla guerra e agli effetti che genera su chi l’ha vissuta!

 

Valeria Pennella

 

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Luena 23 Marzo 2009

Venerdì 18 Settembre 2009

Luena                                                                                                          23 Marzo 2009

 

Con lo suardo quasi assente e molti pensieri nella testa esco dalla mia stanza, in casa mi aspetta il capocantiere dei lavori di costruzione della futura ‘Casa delle api’ (questo il nome del nostro progetto), quasi non mi accorgo della presenza di Gastão, il guardiano di notte, mi sorride a denti alterni, ricambio e poi lui inizia con la sua solita cantilena:

-L’Angola é in pace, la guerra é finita, l’Angola ha una storia!

Solitamente rido di ció, di un sorriso triste ovviamente, ma stasera piú che mai mi incuriosiscono i suoi pensieri, allora piuttosto che ripetere all’unisono il suo manifesto politico  gli domando:

-          Gastão cosa ricordi della guerra?

-          L’Angola è in pace……….

-          Fermo fermo, i portoghesi Gastão, i portoghesi..

-          Non ci sono piú , sono andati via.

-          Hai mai sparato Gastão?

-          Si, i portoghesi sono andati via

-          Hai mai ucciso Gastão?

Mi guarda carico di tutta la sua follia e poi in tono nuovo aggiunge:

-          Mi mettevano un fucile in mano, non sapevo cosa stessi facendo, ma i portoghesi hanno ucciso tanti angolani

Ho  bisogno di sdrammatizzare, per quanto sia possibile, anche se tutto qui porta addosso le cicatrici della sofferenza, d’improvviso ricordo la sua storia, qualcuno me  ne aveva parlato al mio arrivo, che stupida, avevo dimenticato che da bambino aveva assistito allo sterminio della sua famiglia, che era poi diventato un guerrigliero e aveva viagiato in tutta l’Africa come tale, mi carico di tutte le energie positive che posseggo e questa volta sono io a sfoggiare un sorriso quasi folle, poi comincio:

L’Angola é in pace, la guerra é finita, l’Angola ha una storia…

 Le parole di Italo mi vengono alla mente, il giorno in cui Savimbi veniva ucciso e terminava la guerra in Angola, lui era qui, era il 2002, volontario tentava di ricostruire case, edifici, venuto a conoscenza della fine della guerra, si rivolse alla sua gente e disse:

-          Vado via, la guerra é finita.

Lo guardarono e poi gli risposero

-          È proprio ora invece che abbiamo bisogno di te, ritorneranno tutti, e aggiunsero

Quem ficou na mata aprendeu só a matar”  

(chi é stato nella mata ha imparato solamente ad uccidere)

Con la parola mata gli angolani definiscono qualsiasi area con erba alta e alberi, quella che si incontra qui é propriamente savana, non eccessivamente alberata ma savana, è qui che Savimbi elesse il suo popolo, é qui che si nascose negli ultimi temi della sua vita, è qui che ha visto la morte: assassinio dettato dalla fame di un popolo o suicidio mosso dalla disperazione?

Una guerra che porta il marchio made in:Unione Sovietica, Cuba, Stati Uniti, Repubblica democratica del Congo, Sudafrica, forse Angola.

 Fin dove arriva la cupidigia umana?

Sintetizzare in poche riche la storia dell’Angola non é affatto cosa semplice, tenterò di fare comunque uno sforzo, saltando a grandi balzi in avanti con la storia.

Nel lontano 1483 quando i portoghesi sbarcarono in Africa trovarono il regno di Manikongo, una popolo per la maggior parte di etnia bantu, approfittando delle condizioni di pace precaria che esistevano al tempo nei territori africani i portoghesi crearono nel 1574 il regno di N’gola.

Avevo premesso che avrei fatto salti di interi secoli, e cosí farò, non è indispensabile conoscere tutte le vicissitudini del periodo coloniale ma alcune questioni segnano per sempre la storia di un popolo: il regno di N’gola fu uno dei paesi maggiormante segnato dalla tratta degli schiavi, si considera che dal 1574 ala fine del XIX secolo siano stati deportati verso le coste brasiliane oltre 3 milioni di persone, nonostante il commercio di schiavi fosse terminato nel 1830.

Beh con le date i portoghesi qui in Angola non hanno mai avuto dei buoni rappori, non è solo quella della abolizione della schiavitù a non venire rispettata, ma anche  il processo di decolonizzazione messo in atto all’indomani della Seconda Guerra Mondiale non fu tenuto in considerazione e l’Angola continuò ad essere considerata quale colonia portoghese.

Già solo queste poche notizie stimolano il pensiero, inducono a generare riflessioni, e la politica qui non c’entra niente, per il momento.

Sicuramente il periodo coloniale dell’Angola è stato ben differente da quello delle altre colonie africane, una tratta dei “negri” senza remore alcune, persone considerate al pari di animali, sulle quali è facile imporre il marchio del diritto di proprietà, l’arrivo in Brasile poi riservava non poca crudeltà e la vendita al mercato del Pelurinho di Salvador da Bahia non era affatto il momento peggiore della vita di uno schiavo angolano.

Sta di fatto che quando il Portogallo rifiutò di cedere l’indipendenza all’Angola, questa si alzò in piedi, e a mio avviso (e qui sicuramente c’entra le mia personalissima visione politica degli equilibri mondiali) anche se zoppicando a causa della poliomelite che imperversa in queste zone, alla fine se lasciata sola avrebbe potuto farcela, ma la storia non andò così.

Semplificando, ma davvero molto, in Angola si crearono tre movimenti per l’indipendenza, ma solo due scrissero il destino di questa terra:

Il primo l’MPLA , il Moimento Popular de Libertaçáo de Angola fu fondato da Agostinho Neto, è il partito attualmente al potere, nato dall’ideologia marxista ora  di impronta social-democratica, accetta il libero mercato; l’altro schieramento era rappresentato dall’UNITA, União Nacional para a Indipendência Total de Angola, guidato da Jonas Malheiro Savimbi leader indiscusso fino al giorno della sua morte.

I due partiti non raggiunsero mai accordi politici e non arrivarono uniti all’indipendenza, piuttosto si crearono due governi: quello di Neto con sede a Luanda; quello di Savimbi ad Huambo. In poco tempo l’ MPLA ricettevette riconoscimenti mondiali, ma Savimbi non ea affatto intenzionato a cedere la presidenza totale al suo avversario, neanche quando Agostinho Neto morì e gli succedette l’attuale presidente in carica José Eduardo dos Santos.

Dal 1976 al 2002 fu la guerra!

A chi interessa sapere quanti morirono da un lato quanti dall’altro, a chi preme conoscere l’avanzamento di una fazione piuttosto che l’altra? Quello che interessa è che ci furono ventisei anni di scontri armati. Ventisei anni? Come puó un popolo appena uscito da un’epoca coloniale, che non aveva consentito l’emancipazione del “negro” né tanto meno del creolo affrontare ventisei anni di conflitto?

E qui mi sia concesso spiegare ventisei anni con un susseguirsi di parole senza nessi grammaticali ma unite da litri di sangue e di denaro sporco:

Agostinho Neto, MPLA, José Eduardo dos Santos, Unione Sovietica ,Cuba, PETROLIO, Jonas Malheiro Savimbi, UNITA, Stati Uniti, Sudafrica, Congo, DIAMANTI.

Solo per dare un’idea:

L’UNITA cominciò a produrre diamanti su larga scala solo alla fine degli anni ’80, il valore della sua produzione passò da 4 milioni di dollari nel 1984 a 14 milioni nel 1989. Si consideri che negli anni dal 1994 al 1997, l’esportazione di diamanti dell’UNITA

rappresentava il 10% di tutta la produzione mondiale, e permetteva all’ UNITA di comportarsi come uno stato indipendente.

Ma esiste davvero un mercato di diamanti cosí grande? Magari non è poi così diffuso, magari al 2002  l’offerta superava di gran lunga la richiesta, magari questa è solo una mia personalissima riflessione…………..

 

Valeria Pennella

 

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Cangumbe, Moxico

Lunedì 14 Settembre 2009

Cangumbe, Moxico                                                                                    19 Marzo 2009

Mwata Jesu iamba kuli tumbaji

Tuenhi nguenhi kachi te umue mazanga

Kuiza kunhima iami akalikale muene

Ambate kulusu jenhi eze hanga akgukaule

Eze eze eze

Hanga angukaule

 

………….E il Signore Gusù disse ai suoi apostoli, chiunque voglia  abbandoni tutto prenda la sua croce e mi segua..eze eze eze  mi segua………………………………………..

 

Succede di nuovo, dopo soli cinquanta metri di distanza percorsa, il pck-up si infanga nuovamente, è la stagine delle piogge ed è facile rimanere bloccati per ore nella sabbia rossa, le strade sono impercorribili, per fortuna non siamo soli in sei il lavoro diventa meno duro. L’idea di ritornare al villaggio mi eccita troppo e le quasi cinque ore di viaggio sembrano non pesarmi.

Atraversiamo quattro, forse cinque villaggi poi dopo tanta attesa eccoli lì, i vagoni dismessi della vecchia ferrovia portoghese, portano addosso i segni di una guerra senza Dio, fermi nel tempo e nello spazio bloccati lì su quelle uniche rotaie ancora intatte e un pò  distante da loro ma non troppo, la speranza della vita.

Un vagone solitario ribaltato, forse da un colpo di carroarmato, è tenuto in aria dalla necessità di sopravvivere, alberi sono nati al suo interno e radici ben salde lo tengono fermo lì, come obbligato ad osservare il mondo che lo circonda, tutt’attorno altissimi girasoli cercano la luce e si incontrano col cielo, come metafora del popolo di questa terra paradisiaca.

I ruderi delle case portghesi testimoniano i quattrocento anni di splendore di questo centro ora privo di acqua di elettricità, di costruzioni.

Arrivo in casa con la mia squadra, un ulteriore sopralluogo, abbiamo bisogno di abbassare i costi e diminuire i tempi, il nostro progetto di apicultura deve cominciare, il popolo di Cangumbe necessita di una speranza nuova, necessità di poter credere al futuro. Una volta in casa ritorno nella mia condizione di pesce in un acquario, osservato da tutti i lati, spiato, commentato. I bambini alle finestre sono centinaia, siamo oggetto di interesse, la casa, i lavori, perchè mai qualcuno dovrebbe venire a stare qui si domandano, poi giro lo sguardo per inviare qualche bacio volante come sempre e incrocio gli occhi fissi di Paisinho

-Bom dia Valéria

Mi dice sorridendo, ed io resto lì felicemente sorpresa dal fatto che già conoscano il mio nome.

 

Valeria Pennella

 

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Luena, capitale del Moxico

Lunedì 14 Settembre 2009

Luena, capitale del Moxico                                                                        18 Marzo 2009

 

Da circa due ore siamo fermi all’aeroporto di Luanda, aspettiamo un piccolo aereo privato, trenta posti, che ci porterà a Luena, non si è mai certi che l’aereo arrivi, nè tanto meno che riparta, ma speranzosi attendiamo seduti che qualcuno gridi il nome della nostra compagnia aerea.

Finalmente il nostro turno, l’aereo è davvero piccolo, per entrarci bisogna chinare il capo, in russo sono riportate tutte le scritte sui portelloni e russi credo siano i due piloti bianchi un pò grassocci e con un viso inespressivo.

Inaspettatamente, nonostante le pessime condizioni del veivolo, il viaggio non da preoccupazioni e ci porta a destinazione nel tempo previsto.

Luena è tutta altra cosa, totalmente differente dalla capitale angolana, conserva il sapore della sua storia colniale, poche casa a testimonianza del suo passato, poi baracche di terra, di lamiere, di fango, di paglia.

Ho un pò di nostalgia della gente lasciate a Luanda, sono fatta così, quando sono in stato di vulnerabilità tendo a legarmi alle persone che mi prestano aiuto e ad assegnarle un posto nei miei pensieri, nei miei ricordi, per sempre.

L’accoglienza non è delle migliori, abbiamo un duro incarico io e il mio collega Daniele, prima di riuscire ad impiantare una casa di raccolta e lavorazione del miele in un vilaggio qui nel Moxico, dobbiamo sconfiggere il ricordo dell’equipe che ci ha preceduto, fallendo nel progetto e nelle relazioni al suo interno e con le persone del posto.

Sarà difficile, abbiamo sei mesi di tempo perchè un sogno si trasformi in una speranza, altrimenti dovremo lasciare il progetto.

Cangumbe sarà il nostro luogo di lavoro, lì una casa di una vecchia missione aspetta di essere risistemata alla meno peggio per poi accogliere le nostre vite quotidiane , nel fattempo rimarremo qui a Luena ospiti di altri cooperanti, ognuno come noi entusiasmato dalla possibilità di aiutare questa Nazione a lasciarsi alle spalle le sofferenze di trenta anni di conflitti armati.

Un vecchio deposito al lato della casa è stato ripulito per ospitare i miei sonni, un ragno mi osserva distesa nel mio letto, la luce di una candela mi aiuta a fare la stessa cosa nei suoi riguardi. Chissà a cosa pensa, forse anche lui mi trova alqanto strana e forse pensa “Che sarà mai quel ragno oversize con solo quattro zampe? Perchè è nella mia casa? Cosa gli sarà successo?”

Viaggiando sulle onde della fantasia mi addormento, ma non spengo la fiamma della mia candela, lascio che per questa prima notte mi faccia compagnia, del resto il facino di mamma Africa spaventa, e anche di più.

 

Valeria Pennella

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