Quando Alberto mi ha comunicato della sua impossibilità a partecipare, come capogruppo, all’esperienza in Etiopia ho provato, per un attimo, un po’ di disappunto per impegni personali e di LumbeLumbe già presi. Rapidamente, però, sono stato invaso da un senso di libertà e appagamento. Prevedere il mio viaggio con il gruppo sarebbe stata una fuga dal lavoro. La necessità di farlo ha però evitato, ad uno stacanovista incallito come me, quel senso di colpa che avrei inevitabilmente sentito se non ci fosse stata questa necessità dovuta anche al fatto che non ho trovato altre persone disponibili e con un minimo di esperienza. Oggi qui in Etiopia con Ambra, Cristina, Francesca, Luigi, Tiziana, Valentina e Paolo, il nostro riferimento locale, mi sento come alla sorgente. Rivivere, attraverso i loro cuori e le loro emozioni, ciò che ho vissuto la mia prima volta, quattordici anni fa, mi fa stare molto bene. All’inizio erano un po’ impacciati, curiosi e anche un po’ intimoriti davanti ai bambini che abbiamo incontrato. Poi rapidamente hanno preso possesso della loro scelta mettendosi in gioco e immergendosi totalmente in questo viaggio verso l’altro.
Ascoltarli, durante la cena, sulle loro proposte per il giorno dopo. Vivere il loro entusiasmo è stato rigenerante e mi ha fatto riconsiderare il modo di fare, e di agire dei giovani occidentali, più inclini all’ozio mentale ed alla ricerca di una via di fuga dal loro mondo confuso, che a mettersi in gioco per impadronirsi di uno stile di vita orientato al rispetto dell’altro.
L’immersione nella realtà africana è stata graduale. Siamo passati dall’albergo di lusso di Addis Abeba (la casa provinciale delle suore figlie di Sant’Anna) al convento dei Frati cappuccini di Nazareth per poi finire in una casa di Wonij, dove le 5 ragazze si sono dovute organizzare in una sola “camera” con letti, materassi sacchi a pelo e valige. Il loro vero problema però non è stato la mancanza di spazio ma i coinquilini: scarafaggi, di ogni tipo, che giorno e notte, con operosità ed alacrità, hanno svolto le loro faccende. In questo impegno instancabile hanno avuto l’ardire di passeggiare sulle valige, zaini, e persino sui pigiami e sulle zanzariere, poste come baldacchini sopra i cinque letti. La cucina poi era il loro il luogo preferito soprattutto durante la confezione dei pasti. Chissà se sono proteici!!!
A me e Luigi sono state riservate delle dependance con un tetto in eternit che le ha fatte diventare simili a delle serre. In compenso abbiamo avuto un bagno alla turca con un tubo di plastica dal quale sgorgava acqua calda, che arriva così dalla sorgente. La sporcizia del bagno non era particolarmente disagevole, se non fosse stata integrata da un odore poco sopportabile. Paolo ha preferito montarsi una tenda nel giardino. Il tutto corroborato da qualche piccolo serpentello del quale non ne abbiamo fatto parola alle ragazze per evitare il panico.
La notte invece da poesia… un vociare di rane, uccelli notturni di ogni tipo, ululati di iene e l’eco dell’abbaiare dei cani pronti ad intervenire se le iene si fossero avvicinate troppo alle case.
Una natura poco contaminata che ci ha permesso di riscoprire le stelle e la via lattea, ormai invisibili, dimenticate e coperte dalle luci artificiali della nostra Italia.
Tutto questo è diventato marginale, e anche bello, dopo i primi incontri con i bambini della scuola. Sono stati loro ad accentrare gli interessi ed il lavoro. Nonostante l’impegno che hanno richiesto, per la vivacità persistente nel corso delle lezioni di inglese somministrate dai ragazzi LumbeLumbe, i loro sguardi sono penetrati nel cuore di ognuno e non ne usciranno più.
Uno dei momenti più belli è stato rotolarsi con loro nell’erba durante l’intervallo e sentire la loro gioia quando, con slancio irresistibile, abbracciavano e baciavano le teachers alla fine della lezione prima di allontanarsi dal comprensorio della scuola per aspettarci nella strada di terra sconnessa e correre dietro il fuoristrada con cui tornavamo nei nostri “alloggi” per consumare un rapido pasto.
Il rischio di investirli, ma anche il senso di colpa di non essere a contatto con la terra insieme a loro magari a piedi nudi o con un paio di ciabatte di plastica, impegnava la nostra attenzione ed i nostri pensieri. Un piccolo cenno alle loro “aule” fatiscenti e dignitose, finestre sconnesse dalle quali la vista si perde in una natura incantevole, banchi traballanti dove si siedono bambini che ghermiscono le viscere per il modo con cui ti guardano. Mura con un intonaco approssimativo, verde fino a poco più di un metro e poi bianche, di un bianco che il tempo e la polvere hanno inesorabilmente e prematuramente invecchiato.
Nei pomeriggi gli incontri con 25 donne unite, in un’associazione di fatto, per organizzarsi in attività commerciali nel mercato locale.
Pomeriggi di gioia e condivisione. All’aperto sotto la tettoia della scuola sedute sui banchi, dove al mattino siedono i loro figli. Per l’occasione i banchi sono stati portati fuori dalle aule. Ci guardano incuriosite: “Cosa vorranno questi bianchi?”, “che sonno venuti a fare qui?”, sembra si chiedano perplesse mentre le ragazze LumbeLumbe organizzano il materiale per iniziare le attività. Le sere precedenti, e nell’incontro con le donne di Nazareth, si sono preparate molto per proporre dei lavoretti semplici, fatti con le cose che Grazia, in Italia, ci ha preparato con molta cura. Stoffe di vario tipo, filo, aghi, forbici integrati da perline portate dalle ragazze marchigiane ed altri accessori per il cucito raccolti dalle ragazze romane.
Dopo le prime titubanze si scatena la gioia, chi vuole fare borse, chi braccialetti, chi cinte realizzate con le bottiglie di plastica. Le africane si consultano e dopo un moderato e non breve confronto, optano per le borse con la tecnica del patchwork. Siamo certi che le borse alla fine siano state uno strumento per stare insieme, per cercare di comunicare e di incontrarsi. Non è mancata la passerella con la sfilata delle borse che ognuna, in poco più di un’ora, aveva realizzato. Tra risate e applausi si è concluso questo momento di condivisione e di autentica comunione. Anche le riprese con la telecamera di Ambra sono state molto gradite.
Vedere un villaggio in africa è come una rivelazione: nonostante i documentari che ci vengono proposti, guardarli da dentro è tutta un’altra cosa. Quello dove siamo stati noi, dopo una camminata impervia di due ore, ha stimolato molte domande ed altrettante riflessioni. Una coppia di anziani, con rughe che sembravano scolpite da Michelangelo, “senza pensione” che debbono accontentarsi di ciò che gli viene dato da mangiare dai giovani o dei pochi birr (moneta locale) donati da qualche parente che va a fargli visitai. Una giovane donna, vedova con cinque figli, particolarmente bella. Il suo abbigliamento, di un vestito nero di stoffa molto leggera, lungo fino a terra e visibilmente sdrucito, unto e impolverato. Lo portava con tale grazia da farlo sembrare un capo delle migliori sfilate di moda. Siamo entrati tutti nella sua capanna, ci ha servito, bolliti in una ciotola di legno, fagioli, mais e lenticchie. Ho mangiato con gusto, anche se con qualche rischio.
Parleremo ancora di questa esperienza mancano tante cose da raccontare. Un’esperienza che ha fatto diventare gradevoli anche gli scarafaggi, scomparsi dalla nostra mente e dal nostro cuore, conquistati dallo sguardo dei bambini e dalla gioia delle donne.
I. Governatori