Monti azzurri

Una Africa che ci fa riflettere

Venerdì 24 Ottobre 2008

la nostra esperienza in Africa è stata intensa e costruttiva per tutti noi, una ricchezza e un punto di partenza per molti…tuttavia è capitato anche di confrontarci con realtà che non ci aspettavamo e che ci hanno sorpreso.
Mi riferisco in particolare alle volte in cui è stata percepita una dissonanza fra le vostre, nostre,  aspettative e la vita reale dei luoghi che ci hanno ospitato, con le loro dinamiche, a volte difficili da comprendere.
Siamo partiti per l’Africa con il desiderio di comprendere meglio i  modi per dare un contributo, qualunque esso fosse, per sostenere il processo di salvaguardia e insieme di sviluppo di questa terra, con tanti sogni, idee, progetti. Certamente è auspicabile che l’intento di tutti coloro che scelgono di impegnarsi a sostegno di questa terra d’Africa e dei P.V.S. in generale, sia quello di:
- diventare “portatori sani” della solidarietà e contagiare quante più persone possibili con generosità, gratuità e sincerità di cuore;
- concorrere, ognuno con le proprie forze e anche soprattutto nel proprio quotidiano, a promuovere la crescita e l’autosufficienza dei popoli che la abitano.
Ma a volte, di fronte ad una realtà difficile come quella africana, dove spesso le regole e le consuetudini del mondo occidentale, in cui siamo cresciuti e a cui siamo abituati, sembrano capovolte o semplicemente non esistono, si è costretti a rinegoziare le proprie aspettative, rivedere programmi, obiettivi e metodi.  Si è costretti a fare scelte che possono incontrare disapprovazione e biasimo, che non vengono capite, soprattutto da coloro che non conoscono a fondo la realtà in cui si è immersi.
Per chi non avesse compreso mi riferisco in particolare all’episodio del “bambino picchiato” che, anche se ampiamente discusso in occasione dell’incontro di sabato 18 ottobre, ha destato amarezza in alcuni di voi ed ha aperto una finestra su una realtà che non ci aspettavamo. Inutile negare che l’episodio ha scosso qualcuno e credo che umanamente chiunque ne sarebbe rimasto colpito. Tuttavia invito a non dimenticare, non sarebbe onesto, ma a cercare di comprendere, a guardare a quel gesto o a quei comportamenti come inseriti all’interno di un quadro i cui contorni sono più cupi di quelli che conosciamo, contorni che pure ci sfuggono. 
Padre Daniel sa, perché la vive, quanto è dura la vita in Africa in particolare per i giovani. Una vita ingiusta dove i ragazzi crescono vittime della violenza,  schiacciati e plasmati da un giogo che non hanno scelto: vittime quando subiscono la violenza e vittime quando la esercitano, perché hanno fatto proprie delle modalità di relazione distruttive. Questo certo non giustifica il ricorso alla violenza in chiave educativa, giacché tutti sappiamo che la violenza altro non fa se non alimentare se stessa, ma può contribuire a spiegare perché in situazioni di particolare stress o di pericolo, per l’incolumità propria o degli altri, di fronte all’impossibilità di gestire un problema o una crisi – che pure capitano di frequente in contesti così difficili - facendo appello alla razionalità, al buon senso, alla disponibilità all’ascolto dell’interlocutore, si possa esser costretti ad adottare un atteggiamento di particolare fermezza, duro fino quasi al limite del rispetto verso l’altro. 
Non chiedo di giustificare ne sarebbe corretto farlo, ma invito tutti a cercare di comprendere le ragioni che sottostanno a certe scelte.
Piuttosto credo sarebbe utile fornire a coloro che vivono questa difficile realtà, sacerdoti o aspiranti tali compresi, nei paesi piagati dalla miseria e dalla guerra, di un supporto ulteriore nelle loro attività, di una rete, magari costituita da persone che possono offrire competenze diverse, che possa più facilmente gestire, contenere e risolvere situazioni di crisi, o che possa intercettare bisogni, esigenze, sofferenze che spesso sfuggono a coloro che sono impegnati su molti, forse troppi fronti, per soddisfare questi bisogni, sciogliere per quanto possibile queste sofferenze, canalizzare energie e potenzialità verso percorsi costruttivi.
Io credo che se tutti, come ritengo sia, abbiamo a cuore gli stessi obiettivi, e se ci disponiamo in un atteggiamento di apertura e di confronto (anche solo cominciando col pensare per qualche minuto, ogni giorno, con rispetto e gratitudine a ciò che abbiamo visto) - pronti a mettere in discussione le nostre certezze o i nostri giudizi – potremo dare il nostro piccolo ma importante contributo per aiutare a ridisegnare contesti e situazioni e per sperare di lasciare un mondo migliore.
Associazione LumbeLumbe

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Mbinzo

Giovedì 4 Settembre 2008

A Luanda, nella Visitatoria dei Missionari Salesiani, la notte passa con un po’ di insonnia. Un incontro con Padre Marcelo Ciavatti per esaminare la possibilità di impiegare apicoltori argentini a Cangumbe nel progetto la Casa delle Api. A seguire con Stefano Tollu per il progetto sportivo Intercapus. Con entrambi c’è una buona intesa che fa sperare bene sulla riuscita dei due programmi. È quasi mezzanotte ed un letto per dormire è la cosa che ci vuole.  Da qualche ora ho lasciato i ragazzi di Ndalatando, anche un passaggio rapido a Dondo per salutare i dondi. Una telefonata con Ersilia che ha toccato alcune corde del mio cuore che mi hanno intenerito molto. Raffaela che sta cercando di risolvere la spedizione di due fuoristrada uno in Angola ed uno in Mozambico. La stanchezza non è stata sufficiente per addormentarmi, un groviglio di pensieri ed emozioni dominate da una forte nostalgia non mi consente di dormire. È già mattino, preparo la valigia per partire alla volta del Congo dove un gruppo di ragazzi della Comunità Montana Valsangro sta  facendo una esperienza analoga  a quella che, i  ragazzi della Comunità Montana Monti Azzurri, sta facendo in Angola. Un incontro con Irmao Agostinho (economo dei Salesiani) per fare il punto della situazione sulle spedizioni dei materiali del progetto La Casa delle Api e su alcuni versamenti fatti dall’Associazione LumbeLumbe a favore dei progetti dei Salesiani. Sono le 9.30 quando il motorista del VIS, grazie a Carla,  mi accompagna in aeroporto.

La solita lunga interminabile attesa e poi si entra. Questa volta è stato molto semplice, non sono stato sottoposto ad estenuanti controlli. Alle 14 circa l’aereo decolla per Kinshasa dove arriviamo alle 15. Sono atteso da un amico di Don Daniel. Anche qui è tutto molto semplice, dopo aver preso il bagaglio mi accompagnano fuori dove c’è un seminarista,  del Seminario Maggiore di  Saint Kaggwa, che  mi prende in consegna come fosse il mio angelo custode ed insieme prediamo la macchina  con autista per raggiungere il seminario.

La strada che esce dall’aeroporto di Kinshasa è molto bella e scorrevole a differenza di quella di Luanda con ingarraffamenti inimmaginabili. Una cosa in comune però c’è. Ai bordi della strada e sui marciapiedi un numero indefinibile di persone, immerse nella polvere e nel fumo di chi cucina. Tutti comprano o vendono qualcosa è difficile fare un distinzione. La loro missione è quella di fare in modo che la sera a casa ci sia qualcosa da mangiare.

Poi arriviamo al Seminario non dopo aver assaporato gli sbalzi dell’autovettura su una strada in terra che porta al cancello di ingresso. Anche sulle autovetture c’è differenza tra Luanda e Kinshasa. A Luanda camminano quasi esclusivamente fuoristrada anche molto lussuosi, a Kinshasa ho potuto vedere molte autovetture “normali” per noi europei anche se sgangherate. Ho notato molte auto che avevano finito la loro funzione di mezzi di trasporto ed erano spinte. In una, in prossimità di una rotonda, tra le perone che spingevano c’era anche il poliziotto in servizio in quella strada.

Il Seminario recintato da un muro di più di due metri, diversi ettari di prato pianeggiante con pochi edifici essenziali destinati ad aule scolastiche, luoghi di preghiera e logistica. Sul prato mucche e pecore nere al pascolo, una ventina. Nelle zona est e sud, ai bordi, orti per la coltivazione di verdura e Manioca. In un angolo verso ovest un piccolo cimitero. Diverse piante tipiche africane sparse qua e là. Non pensate però ad un prato verdeggiante all’inglese.  Erba secca e molta polvere.

Mi accompagnano in camera dove noto subito un inginocchiatoio.

Dopo un po’ il seminarista mi porta un televisore. Sicuramente sta eseguendo un ordine di Don Daniel e vuole farlo con molto scrupolo. Rifiuto, non mi sento proprio di mettermi a guardare la televisione. Avverto un po’ di disagio da parte del ragazzo e cerco di alleviarglielo ripetendo più volte merci, merci….

Mi accompagna a vedere la mensa dove si mangerà. Bevo un bel bicchiere d’acqua ne avevo proprio bisogno.

Torno in camera, alle 6 va via la luce. Non è la prima volta che succede. Mi è venuto di pensare che dove l’energia viene fornita solo dal generatore si sa quando la luce va via, perché il generatore, per economizzare, funziona solo in alcune fasce orarie. Subito dopo arriva il seminarista con una candela ed  i cerini. Sono le sette e dopo un breve riposino vado a cena. C’è solo un ragazzo che sta preparando i pasti e sistemando la tavola. Tutto alla luce di candele. Dopo un po’ arrivano altre due persone. Cerchiamo di comunicare e, nonostante le diverse lingue, ci riusciamo. Mangio riso dove ho messo anche  vegetali in brodo ed  un pezzo di pollo. La mia attenzione si è soffermata su un contenitore dove c’era un alimento mai visto e molto invitante. Un impasto denso, ma non troppo, di colore nocciola dal quale spuntavano pezzi di qualcosa tra il marrone ed il nero il tutto emanava un aroma molto gradevole. Ho chiesto cosa fosse ed ho “capito” che si trattava i funghi (champignon) e pasta di noccioline (cinguba) e mbinzo in lingua Lingala la cui traduzione, per me, era pesce. Ne ho preso un po’ ed ho iniziato a mangiare. Molto gustoso e saporito, vado matto sia per le noccioline che per i funghi, alcuni dei quali però avevano una consistenza maggiore, addirittura scrocchiavano. È con questo pensiero che è tornata la luce ed è arrivato anche Don Giampiero Kikunda, un sacerdote Congolese che vive a Chiusi in Italia e studia teologia a Firenze. In poche parole parla molto bene l’Italiano. Dopo i saluti abbiamo cominciato a parlare di varie cose. Gli ho anche chiesto conferma sui componenti del piatto che stavo mangiando. Ha ripetuto: champignon, cinguba ed ha aggiunto mbinzo. Cos’è chiedo? È un animaletto che sta sotto le foglie e striscia anche per terra….. un tipo commestibile di verme …a me così non piace, dice ancora, lo preferisco arrosto, cotto sulla brace. Non so se riuscirò a mangiare ancora questa cosa ma vi assicuro che, alla luce delle candele, e con un po’ di fame accumulata, non avevo pranzato, era veramente buono.

Alle 9 riesco a trovare una postazione internet dalla quale ricevo le testimonianze dei ragazzi di Valsangro che stanno nel Mbuji Mayi. Mi fanno sentire molto forte i desiderio di essere li con loro, stanno vivendo una esperienza esaltante e molto ricca di emozioni ed io potrò raggiungerli solo sabato, le suore non sono riuscite a trovarmi un volo prima. Torno a letto e le nostalgie questa volta si addormentano con me.

Italo Governatori

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Il mio vissuto in Angola

Mercoledì 20 Agosto 2008

Il capodanno per la maggior parte degli uomini è un momento di grande allegria, di festa, di promesse, di programmi e di speranze. Quello del 2008, oltre ai naturali, importanti nuovi percorsi per la famiglia ed il lavoro, avevo i miei pensieri avvolti da due argomenti in particolare.

Nei primi giorni del mese di dicembre si era perfezionata una proposta che l’Associazione LumbeLumbe  aveva fatto alle Comunità Montane Valsangro (Chieti) e Monti Azzurri (Macerata). Proposta che prevedeva un corso sulla solidarietà per i giovani di quei territori con una esperienza, in Angola e Congo, per vincitori  della borsa di studio messa a disposizione dalle due Comunità stesse. Questo pensiero mi faceva sentire nello stesso tempo molto responsabilizzato e gratificato. L’impegno di fare qualcosa per la solidarietà, che avevo preso nel 1998 anno della mia prima esperienza in Angola con i Salesiani, si stava via via consolidando.

Il progetto di cooperazione “La Casa delle Api” che prevede il recupero della produzione del miele a Cangumbe nella provincia del Moxico. Un progetto fin troppo facile per come era stato presentato nel 2004. Nel 2007 quando doveva essere avviato, dopo il finanziamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri italiano, aveva incontrato non pochi ostacoli. I contadini di Cangume non potevano essere abbandonati dal figlio di un contadino quale sono e questo pensiero ha dominato molti giorni del mese di gennaio per trovare delle soluzioni.

Siamo nel mese di agosto e sono in Angola con 15 ragazzi divisi in tre gruppi (Dondo, N’dalatando e Lwena). Leggo le loro testimonianze, mi  commuovo e sento che la strada scelta da tutti i componenti di  LumbeLumbe nella formazione deve essere portata avanti con tutta la forza e le risorse possibili. I nostri giovani debbono vedere, debbono avere la consapevolezza di cosa c’è dall’altra parte del mondo. Debbono essere testimoni e promotori di un nuovo stile di vita che esca dalla “mercificazione” alla quale è troppo incline la nostra cultura, debbono riscoprire la strada della solidarietà e dell’amore, appropriarsene e diventarne “portatori sani”. Il 27 agosto mi trasferirò in Congo per incontrare altrettanti ragazzi che hanno scelto quella nazione per fare l’esperienza;

Con Mariangela (sarebbe uno splendido capoprogetto) e Daniele (apicoltore) abbiamo lavorato come “negri” per ridare vitalità al progetto “La Casa delle Api”. Una settimana di forcing, durante la quale alle attività pratiche per realizzare due apiari sperimentali con arnie che abbiamo chiamato “LumbeLumbe” si sono accavallati incontri con il Vescovo di Lwena, che ci ha dato un significativo contributo per recuperare la possibilità di costruire un edificio per la produzione del miele ed una visita a Cangumbe, dove siamo tornati 19, per riprendere contatto con gli apicoltori del posto, distribuire miele italiano e candele di cera di api, costruire le arnie  e coinvolgerli nella ricostruzione dell’edificio destinato alla produzione del miele.

La giornata si è svolta molto bene. Da evidenziare in particolare la riunione con gli apicoltori dopo aver realizzato le arnie e mangiato quello che avevamo portato da Lwena; pensavamo di essere in sei, abbiamo mangiato in 24 compresi i bambini, che hanno contribuito a trasportare l’acqua dal fiume per impastare la terra.

Seduti in roda (cerchio) sotto un albero nel mato (foresta), abbiamo spiegato le finalità del progetto. Dopo un pressing di domande gli apicoltori hanno detto, attraverso la voce del loro capo, che ci faranno sapere le decisioni. Si è percepito però un forte interesse ed una empatia molto promettente. Più tardi in macchina Mariangela mi riferisce di aver sentito che il capo, mentre parlottava con uno degli apicoltori tra i più scettici, diceva che la cosa era molto buona ed andava appoggiata.

Non so da dove sono usciti Mariangela e Daniele ma è certo che sono usciti bene. Non si sono risparmiati niente nel lavorare, nel proporre, nel trovare soluzioni. C’è stato qualche momento che mi è sembrato di approfittare un po’ di loro. Per l’apiario sperimentale di Cameje, l’arnia LumbeLumbe ha dato i suoi risultati appena dopo due ore dalla costruzione: uno sciame di api l’ha scelta come propria casa, su quattro arnie ed in modo del tutto impensabile. Celestino e Bento, i due apicoltori angolani, non riuscivano a credere ai propri occhi come pure tutti noi. Da notare che però due giorni dopo se sono andate così come sono venute. Non importa, un po’ di amarezza, ma una grande voglia di andare avanti.

Ora sono qui a riflettere su questi doni che il Signore ha dispensato proprio a me rendendomi una persona gioiosa ed ampiamente ricompensata e in questo momento rivedo la testimonianza di Mariangela ed il suo struggente “a te amanha”, rivivo l’avventuroso viaggio in aereo da Luanda a Lwena raccontato da Daniele, comprendo chi scopre il senso ed il valore del sorriso di un bambino come è successo a Diego, mi fanno  emozionare le sensazioni che provano Fabiola, quando il cielo grigio di N’dalatando le rivela qualcosa di nuovo e Paolo che va oltre la povertà e la miseria delle persone che vede, per arrivare ai ragazzi del gruppo di Dondo  che incontrano tanti, troppi bambini che si chiamano  “Paisinho”  (senza padre).

Mi fa tenerezza la nuova testimonianza di Mariangela che scopre la saggezza della nonna anche nei nuovi amici di Lwena e si lascia coinvolgere in modo totalizzante da questa realtà, alla ricerca di risposte  che non riesce ancora a trovare.

Ed ancora i ragazzi di Valsangro carichi di tensione il giorno della partenza per il Congo:

Giacomo durante il mese di agosto invece di starsene in vacanza, sta dando il proprio contributo ingegneristico alla realizzazione della nuova Obra Dom Bosco della missione dei Salesiani di N’dalatando, Paolo organizza corsi di flauto, Vito di Pallavolo mentre le donne del gruppo, Pamela e Fabiola, sono circondate da più di cento bambini.

Per tornare a Giovanna ed i “Dondi”  che partecipano ad una messa durante la quale, oltre al forte valore eucaristico, emergono la vivacità di colori, la ritmicità dei suoni ed il vigore trascinante dei canti della tradizione angolana.

Ed infine il sogno di Daniele che si avvera…forse non era solo lui a sognare

Essere qui, ha fare qualcosa per gli altri, è stupendo anche se complesso ed impegnativo, ma è ancora più bello sapere che attraverso te c’è qualcuno che si sta affacciando alla solidarietà.

Grazie ragazzi.

Per dirla alla Madre Teresa di Calcutta: sto vivendo e sperimentando il privilegio di avervi donato qualcosa… il mio vissuto in Angola.

Italo

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La storia di un granello di sabbia….

Mercoledì 20 Agosto 2008

Quando stai sognando qualcosa intensamente, talmente intensamente da poterla quasi toccare con mano, e quando ogni parte del tuo corpo e della tua mente si muove verso quel sogno senza farsi domande…..  a volte accade in modo assolutamente misterioso, segreto e irrazionale che quel sogno, con la stessa imprevedibilità di una stella cadente, si avveri. La tua mente non crede a ciò che sta vedendo, ma il tuo corpo si…. lo dicono i tuoi occhi che stanno brillando di gioia.

La sensazione è quella di essere parte di un ordine superiore, lo stesso che nell’universo lega ogni cometa alla propria orbita, lo stesso che accompagna la nostra storia e che in quel preciso istante riusciamo a percepire….

Stiamo parlando di una piccolissima storia, piccola come un granello sabbia africana…. Per me, che mi trovo a far parte di questa storia da solo una settimana, si tratta di un granello troppo piccolo per poter essere riconosciuto tra un milioni di granelli. Per chi questo granello lo ha sognato e scelto, questa breve storia rappresenta qualcosa di più, molto di più…..

Prima della guerra civile l’Apicoltura era una delle principali attività produttive del Moxico. Il 60 per cento del miele importato in Portogallo proveniva proprio da questa terra. La linea ferroviaria ormai dismessa che da Luanda percorre tutta l’Angola fino ad arrivare al villaggio di Cangumbe, è li a testimoniare come in tempi passati in questa regione fosse presente una florida attività produttiva. La guerra ha spazzato via tutto. Con il progetto “Una casa per le Api” l’Associazione LumbeLumbe vuole aiutare gli abitanti di Cangumbe a riprendere l’attività di apicoltura. Tornare a produrre miele in questi villaggi è un sogno alla cui realizzazione sono contento di poter contribuire durante questi giorni.

In questa prima settimana a Lwena abbiamo lavorato all’apiario sperimentale di Cameje per superare una fase fondamenale del progetto, la realizzazione di un modello di arnia economica da proporre  a coloro che vorranno avvicinarsi all’apicoltura. L’arnia è stata completata proprio stamattina, abbiamo utilizzato solo materiali naturali: con tronchi di legno di varia dimensione abbiamo realizzato la struttura, con il tapì (una sorta di paglia diffusissima nella savana) il rivestimento esterno, infine abbiamo usato un impasto di sabbia e acqua per rifinire la parte interna. Siamo tutti molto soddisfatti del lavoro, dopo aver fatto vari tentativi finalmente siamo riusciti a costruire un’arnia che ci soddisfa, presi dall’entusiasmo decidiamo di chiamarla arnia LumbeLumbe, ben sapendo che alla fine quest’arnia non deve piacere a noi ma alle api. Questo nome lo incideremo su di un pezzo  di legno che attaccheremo direttamente sull’arnia.

Quando nel pomeriggio torniamo a Cameje per completare i 2 supporti che mancano a completare l’apiario nessuno inizialmente nota il via vai di api attraverso la piccola apertura dell’arnia. È il  segno che in realtà le api sono già entrate.

Il collaudo è programmato proprio per il pomeriggio. Alle 17.00 abbiamo l’appuntamento con un apicoltore angolano, per acquistare una famiglia di api che in qualche modo cercheremo di far entrare nell’arnia, per verificarne l’efficacia. Ma la risposta è già lì proprio sotto i nostri occhi. Mentre stiamo prendendo alcune misure Celestino alza la testa e fissa con lo sguardo l’arnia Lumbelumbe, io lo guardo. “Abellas????” dice con espressione incredula,  e sbatte gli occhi per assicurarsi che quei piccoli insetti che volando dentro e fuori dall’arnia siano realmente api. È infatti incredibile ma vero, nelle 2 ore in cui ci siamo allontanati da Cameje una famiglia di api ha occupata la nostra arnia, come a volerci ringraziare dell’attenzione che abbiamo messo nel costruire quella piccola casupola formato ape. Noi siamo felicissimi e grati, ma grati a chi? Grati a questa famiglia di api che ha trovato rifugio proprio nel nostro apiario? Grati alla natura e al suo equilibrio? Non lo sappiamo, ma ci addormentiamo con la sensazione che nemmeno il più insignificante granello di sabbia sia finito su questa terra per puro caso.. ed è una gran bella sensazione!!!!

Daniele Davini

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I Dondi

Mercoledì 20 Agosto 2008

Domenica 17 Agosto a Dondo si festeggia Don Bosco. Il fermento comincia già giorni prima con i preparativi per addobbare il cortile dove si terrà la messa. È tutto un ritagliare festoni e fiori di carta e sacchetti di plastica colorati a striscioline; le risorse sono poche: carta, forbici e fantasia. La Domenica mattina si sentono le voci in cortile prima del solito. Tutti fanno qualcosa: sul palco si prepara l’altare con le tovaglie ricamate ed il fonte battesimale per le persone che riceveranno il sacramento, si dispongono le panche, troppo poche per la gente che verrà. I bambini arrivano in gruppi a sedersi per terra sulle stuoie, tutti vestiti a festa, tutti puliti, non sembrano gli stessi bambini scalzi e stracciati con i quali abbiamo giocato la sera prima. La messa è un’esplosione di colori, una carrellata di canti festosi sul ritmo di tamburi e di mani che battono incessanti, espressione di una religiosità festosa e dell’indole allegra di questa gente. La tambula, l’offertorio, è una lunga e danzante processione di doni, dalla mandioca alle lattine di bibite, alla frutta, alla pasta, al riso  portati dalle donne e alle canne da zucchero portate dai bambini e dagli uomini come antiche lance per la caccia. E noi li, mescolati tra la gente, circondati dai bambini, a riempirci il cuore di suoni e di immagini che difficilmente dimenticheremo, avidi di particolari da incastonare nella nostra memoria, frammenti di vita condivisa con persone che forse non incontreremo più, ma che ora, in un intreccio di mani e di sguardi contribuiscono a fare di noi ciò che saremo domani.

I Dondi

 

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I ragazzi di N’dalatando al giro di boa

Mercoledì 20 Agosto 2008

Al giro di boa

Siamo al giro di boa, non sembra vero ma il tempo e’ volato. Siamo qui dallo scorso sabato e anche se solo da pochi giorni,  le persone sono cosi’ affettuose che quando si esce per le attivita’ di oratorio, l’atmosfera di amicizia che si e’ creata fa si che tutto sembri normale, quasi spontaneo. La mattinata inizia all’alba e le intense attivita’ che svolgiamo ci fanno saltare dal  crescere del sole all’ora del pranzo senza quasi rendercene conto. Vito tiene i corsi di chitarra, Emanuele e Paolo corsi di informatica; al pomeriggio Emanuele il corso di flauto ed io e Vito cerchiamo di formare una squadra di volley. Mancano all’appello le piu’ indaffarate, Pamela e Fabiola che ogni giorno con la loro pazienza, dopo il catechismo intrattengono  bambini e ragazzi ( piu’ di 100!!!) con corsi d’inglese e di disegno libero. Per quanto rigurada le mie attivita’ non solo cerco di insegnare un po’ di pallavolo, ma passo il mio tempo a disegnare al computer poiche’ mi e’ stato affidato il compito di fare il progetto per la nuova Obra Dom Bosco. Speriamo bene!!!

Nel restante tempo “libero” siamo usciti dalle mura della nostra comunita’ per renderci conto della vita a N’dalatando. Attraversando il quartiere popolare si coglie l’intenso fermento con cui la vita quotidiana e’ affrontata, infatti mentre le mamme fanno il bucato lungo il fiume e gli uomini costruiscono mattoni in terra spuntano bambini da ogni lato. Che la vita e’ dura si capisce facilmente durante la nostra camminata, ma ogni piccolo sorriso ci da la forza per continuare e rafforzare il nostro percorso.

Giacomo Sufferini 

     

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A saude è tudo na vida….. ma non per tutti

Sabato 16 Agosto 2008

Reflexao (Riflessione)

E’ mattino presto siamo pronti per andare a lavoro per sperimentare alcune cose in merito all’apicoltura..

Ad uno dei due apicoltori chiedo come sta sua figlia, la più piccola, l’ultima di sei o sette figli, che la prima volta che mi ha vista ha avuto paura della pelle bianca e lui unendo le mani mi dice:

“ Stà saudavel. A saude è tudo na vida”…. (Sta bene di salute, la salute è tutto nella vita).  Cavoli tanti chilometri di distanza dall’Italia e mia nonna mi ripete sempre la stessa frase da anni!.. la vita umana va protetta e rispettata in ogni angolo della terra?! Hanno tutti una dignità, anche persone che vivono con mezzi di sussistenza naturali?.. e allora perché possono morire per una piccola ferita?!…

 

 

 

La costruzione delle case avviene scavando un grande buco nella terra, che spesso in questa parte di mondo è rossa…si tagliano i tronchi degli alberi per iniziare a piantarli nella terra e poi affilarne tanti in verticale ad una distanza misurata ad occhio, allo stesso modo ne vengono sistemti altri in orizzontale ai lati dei pali verticali e legati da una corda che viene ricavata dal tronco di un albero che si chiama SAMBA!… alla fine viene fuori una specie di gabbia, il cui scheletro in legno è riempito da sterpaglie e terra rossa che, presa dal buco, viene impastata con acqua del fiume e se è possibile con un po’ di cemento e … ci si chiede se davvero semplicemente delle mani possono realizzare ciò.. Il tetto è formato da pezzi di alluminio che per non volare via hanno bisogno di buste piene di terra.

Questo lavoro è possibile descriverlo in poche righe ma sappiate che il tempo reale per realizzare una casa qui, non è facilmente prevedibile… bisogna trovare il legno adatto nella savana lontana dai centri abitati quattro o cinque ore a piedi..tagliare i tronchi con un macete e giorno dopo giorno trasportarli nel posto in cui costruire.. l’acqua è altrettanto lontana e difficile da trovare e per trasportarla… ci sono teste e spalle forti delle donne che appaiono equilibriste per la capacità di restare erette con pesi inimmaginabili, e allo stesso tempo soprattutto occupate ad essere madri.

Ed in merito alle madri ATTENZIONE: i figli, di qualsiasi genere ed età o ancora non totalmente in grado di correre come gazzelle per le strade, seguono le madri. Legati alla schiena con un panno a qualsiasi ora del giorno e con il sole che batte fortissimo, restano con le madri durante qualsiasi tipo di lavoro debbano svolgere. Le madri allattano con disinvoltura mentre lavorano, anzi sembra quasi che da loro stessi i bimbi scelgano quando succhiare il latte, sono molto spesso attaccati al seno…mi sono chiesta perché un bimbo di fronte a me, per l’intera durata della messa dell’Assunzione era attaccato al seno della madre. .sarà perchè qui non esistono i ciuccetti? Sarà che con tanta povertà è il piacere più facilmente raggiungibile?..

 

 

Ritornando al buco nella terra e sottolineando che in questo mondo in cui non si contatta un ingegnere per progettare una casa di cui sopra, tutto ha uno scopo, viene utilizzato come deposito per l’immondizia “o lixo” e in altri casi, viene un po’ ristretto e circondato da tanti teli per diventare “casa de banho” (gabinetto).

Ora mi resta una curiosità… cosa ci sarà dentro la casa? dato che si cucina fuori e si è seduti intorno ai carboni ardenti, che rappresentano l’unica luce della casa.. i bambini quasi in un ciclo continuo corrono con piedi nudi qua e la per la strada durante ogni ora di luce solare e le donne puliscono e tritano con cura la mandioca e spesso intrecciano con cura i capelli delle loro figlie davanti alle case..?..

Avrà forse qui un altro significato avere una casa? Forse è avere un tetto per riparasi dalle piogge battenti di altre stagioni?..o forse è il punto di arrivo e di partenza di chilometri e chilometri per la sopravvivenza?.

Mariangela Capuzzi

 

 

Insomma case fatte con materiale che non ha un costo in moneta, a parte un po’ di cemento necessario, il cui prezzo è molto costoso, il resto questo popolo lo trova in natura, l’unico costo è quello del proprio fisico che cammina cammina, chilometri e chilometri con pesi sulle spalle e sulla testa per trasportare elementi per la sopravvivenza.

 

A minha casa.. (La mia casa)

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Ancora testimonianze dai ragazzi di Dondo

Venerdì 15 Agosto 2008

 
 

Oggi è stata una giornata intensa, la mattina oratorio a Cassoalala presso la scuola missionaria dei Salesiani insieme agli animatori, in quindici su un carro scoperto che sembrava si volesse ribaltare ad ogni buca. Ad un tratto grida festose: parallelo a noi arrancava, carico di sabbia, il primo treno merci per Dondo, questa città polverosa dove anche il verde brillante dei banani è nascosto sotto lo spesso strato di polvere rossa sollevato dal continuo passaggio dei camion.

A Cassoalala le aule sono chiuse perché è periodo di vacanza, ma i bambini ci sono, di meno rispetto a Kafuma e Lenga- Lenga, comunque tanti.

 Nel primo pomeriggio di nuovo sul carro per raggiungere Dan- ya- Menha a cinquanta Km, insieme a padre Victor che dovrà celebrare tre matrimoni. Lungo la strada, seduti dietro, sul carro scoperto, abbiamo la sensazione di fare parte integrante del paesaggio. Appena fuori Dondo ci fermiamo vicino ad un gruppetto di donne che vendono frutta, una di loro ci passa due torte per il matrimonio. A Dan-ya-Menha l’accoglienza è festosa, ma c’è un cambio di programma: i matrimoni sono solo due, ma in più ci sono ventisei battesimi. La messa dura due ore: si è fatto buio. È un po’ inquietante, tanto più che una ventina di persone che hanno ricevuto il battesimo abitano a venti km e non è sicuro camminare a piedi di notte. Padre Victor mette tutti sul carro e va, noi rimaniamo lì in un’aldeia immersa nel buio ad aspettare un altro carro che verrà dalla missione. Ci invitano ad andare con loro nel barrio, dove c’è la festa per il matrimonio. Camminiamo al buio, circondati da bambini e adulti di cui non riusciamo a scorgere i visi, neri come la notte. Il villaggio ha la luce elettrica. Dai fili tesi tra gli alberi pendono decorazione fatte con lattine vuote e bottiglie di plastica tagliate, sul fuoco vivo le donne, sedute per terra, rimescolano il fungi e uno stereo suona musica di un genere non ben definito, certamente non etnico. Siamo entrati per un’ora nella vita vera della vera Africa. Caterina, la volontaria della missione, è tornata a riprenderci con l’autista ed un furgone chiuso.

Le contraddizioni stridenti tra lo stereo ad alto volume, il tipo di musica, i vestiti occidentali degli uomini, sposo compreso, e le pentole nere sul fuoco acceso per terra, la povertà estrema delle case di terra, i bambini sporchi e con una tosse preoccupante hanno colpito tutti. Ma ha colpito anche il fatto che gli sposi fossero anziani e con otto figli. Il matrimonio è stato una scelta di fede? O solo pratica di un insegnamento religioso? Non sta a noi giudicare. Ha colpito il modo festoso  di salutarsi di due anziani divertiti come  bambini e soprattutto  il fatto che sono le donne a darsi da fare.  Con i piccoli legati sulla schiena preparano, servono, spazzano. Avevamo già notato le bambine che prendono l’acqua dal fiume, le donne al mercato. Una di loro mi ha detto: "la vita della donna angolana è tristezza e lavoro". Ma gli uomini che fanno? Trenta anni di guerra hanno forse spazzato via la capacità di lavorare? O è proprio un fatto culturale? Rispetto a qualche anno fa si vedono più uomini al lavoro, anche perché con le elezioni vicine, si ricostruisce dappertutto, si asfalta la strada, si ripristina la vecchia ferrovia. Sono comunque troppo pochi rispetto alle donne

Ci chiediamo se la tendenza di questo paese a svilupparsi guardando l’occidente produce anche dei cambiamenti nella struttura dell’organizzazione sociale, nei ruoli ricoperti da uomini e donne. I Salesiani, instancabili, attraverso l’evangelizzazione promuovono la famiglia, educano alla responsabilità condivisa. Attraverso l’istruzione delle bambine favoriscono la promozione della donna perché abbia prospettive diverse rispetto ad un matrimonio contratto da adolescente. Forse qualcosa comincia a cambiare, ma la strada e´tanto tanto lunga. Nel frattempo troppi bambini si chiamano ancora Paisinho: senza padre. Non  sappiamo se perchè lo hanno perso o perchè non lo hanno mai avuto.

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Una pagina del mio diario

Martedì 12 Agosto 2008

 

Dopo due giorni di ambientamento qui a Dondo,  abbiamo deciso di fare un piano delle attività che andremo a svolgere con i bambini e i ragazzi della comunità salesiana. Questa mattina quindi abbiamo organizzato i laboratori (culinaria, pittura, educazione sanitaria, cucito e decorazioni) che faremo per le prossime due settimane e ci siamo quindi recati al mercato per acquistare il materiale necessario allo svolgimento delle attività. Nel  pomeriggio, invece, accompagnati dai ragazzi dell’oratorio, siamo andati  nel barrio Kafuma, uno dei posti più poveri di Dondo, per un pomeriggio  all’insegna del gioco e del divertimento con i bambini che abitano in quel quartiere. Devo ammettere che e’ stata una delle giornate più faticose e belle della mia vita. Solo oggi, a 22 anni compiuti, ho scoperto un nuovo lato del mio carattere che non conoscevo; pensavo di non essere portato per stare con i bambini, pensavo di non saperci fare, di non essere divertente o interessante….proprio loro, i bambini, mi hanno convinto del contrario. Giocare con loro e’ stato più formativo che sostenere qualsiasi corso di animazione, nonostante le difficoltà nel parlare portoghese e anche nel capirlo, mi sentivo completamente in sintonia con loro, riuscivamo a comunicare benissimo e ci siamo divertiti davvero tanto. Non c’e niente da fare….il sorriso di un bambino e’ la cosa più contagiosa e allegra che ci possa essere. In quelle poche ore passate insieme, ci siamo isolati dalla triste realtà in cui ci trovavamo, non pensavamo a nulla ed eravamo felici. Ho provato sensazioni nuove, molto profonde…che mi hanno segnato per sempre. Essere qui si rivela ogni giorno sempre più importante per me, credo che questa esperienza mi cambierà molto, mi sto arricchendo ogni giorno sempre più di  esperienze che difficilmente dimenticherò e che , sono sicuro, mi aiuteranno a vivere meglio la mia vita. Ringrazio l’Africa e il suo popolo per quello che stanno facendo per me e cercherò di fare abbastanza anche io per […]

Diego Baleani

  

 

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Cronaca di una notte angolana nella fantasia di Daniele

Martedì 12 Agosto 2008

Cronaca di una notte Angolana

Alle 22:30 nella sede dove siamo ospiti stiamo già tutti nelle nostre camere e ci organizziamo per andare a dormire. Alle prese con la zanzariera sto pensando alla giornata passata nella Lixeira, a questa Africa con le sue immense contraddizioni, così maledettamente difficili da capire ed accettare. Penso anche al contrasto tra la pace della casa salesiana dove siamo ospiti e il gran casino della discoteca qui accanto. La musica si sente per tutto quartiere, questo TUNZ TUNZ ha tutta l’aria di proseguire fino all’indomani…

I miei pensieri si interrompono quando sento arrivare i passi di Italo. Aprò la porta sapendo già quello che debba dirci, e infatti con tono di emergenza: “ragazzi, ha chiamato chi ci accompagnerà, alle 3 e mezzo giù in cortile, Ok? Mi raccomando, è un volo particolare!”.

Metto la sveglia alle 3:15 e vado subito a dormire.

Il resto è stato praticamente un film di azione hollywoodiano:  la sveglia che suona nella notte, io che mi vesto in 2 minuti, Mariangela che non ha sentito la sveglia, io che mi affaccio dal terrazzo e vedo la gip pronta nel cortiletto, Italo che esclama 2 o 3 volte “ragazzi allora!?!?”, le valigie che vengono caricate alla rifusa, noi che saltiamo sulla gip ed il nostro accompagnatore, sorridente come sempre, che parte nella notte. Arriviamo all’aeroporto poco dopo. All’entrata ci fermano, chi ci accompagna dice il nome di una persona ma non basta. Allora prende il suo cellulare e fa un numero, passa il cellulare al controllore e così ci fanno passare.

Non sfuggono i nostri sguardi spauriti, increduli, curiosi. “Sapete …. In tutte queste cose basta conoscere la persona che ha la chiave..” ci dice soddisfatto l’accompagnatore.

Arriviamo con la gip direttamente sulla pista di decollo. È buio, ci sono in giro  persone che entrano ed escono da un piccolo ufficio a lato della pista, si muovono tra gli aerei parcheggiati. Da una parte una quindicina di persone ferme hanno tutta l’aria di aspettare il nostro stesso aereo. Non sapendo esattamente cosa fare, senza scendere dalla gip, seguiamo con molta attenzione tutto il movimento. Il silenzio è rotto dalla nostra guida che sorride e saluta una persona che si sta avvicinando verso la nostra gip. È proprio quella persona “l’uomo della chiave”.

Siamo i primi a salire sull’aereo che ha un decina di posti a sedere riservati evidentemente ad altri passeggeri. Lo capiamo subito quando in tutta fretta l’addetto alle operazioni di carico ci  colloca nel retro della stiva, ci nasconde dietro a un monte di merce, ci fa capire abbastanza chiaramente che è meglio per noi se facciamo silenzio e dopo aver spento le luci se ne va.

Sono in Angola da 3 giorni e non so niente di questo paese, di questo popolo. Ho sempre visto l’Africa nei documentari e adesso la vedo con i miei occhi. Ho letto romanzi d’avventura e adesso mi ritrovo nascosto nella stiva di un aereo che nella notte raggiungerà Lwena, il capoluogo del Moxico ….

Ebbene no, non c’erano voli commerciali, perché all’areoporto di Lwena la pista deve essere riasfaltata, e solo ad alcuni tipi di aerei è permesso l’atterraggio. Ce la siamo cavata con un po’ strizza nel momento del decollo, perché la merce si è mossa e per un attimo abbiamo temuto che ci venisse addosso! Ma alla fine tutto è andato bene.

Per chi sta in una certa posizione, a un certo livello, c’è sempre un “uomo della chiave” che viene ad aprirti la porta. Quello che sto pensando questa notte è che se avere in mano la chiave è un privilegio di pochi, il passaggio attraverso la porta implica una precisa responsabilità, che non possiamo ignorare, e che in fin dei conti, come ci ricorda il motto di LumbeLumbe, sta proprio nella gioia dell’incontrare persone che vivono in un mondo diverso dal nostro, che io vorrei chiamare Amicizia.

Daniele Davini

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