Archivio del 2009

il mondo visto da una zanzariera

Venerdì 7 Agosto 2009

le impressioni in terra d’Africa si moltiplicano e sono numerose come le zanzare che circolano in questa zona. E’ strano, ma mi sento stanca di vedere, ascoltare e sentire odori nuovi che mi portano ad accumulare sensazioni fortissime e contrastanti.
Ieri, dopo aver manifestato un’allergia al maledetto Malarone ed aver sospeso la profilassi, sono arrivati nella missione e mi sono montata la zanzariera e coperta di Autan prima di addormentarmi. Il mio modo di guardare il mondo e’ cambiato improvvisamente. Mi sono chiusa nella zanzariera e ho cominciato a riflettere.
Oggi pomeriggio giocando con i bambini e vedendoli sporchi, senza vestiti e con una gioia che poche volte riesci a percepire nei volti dei piccoli italiani, mi sono resa coñto che la zanzariera che avevo montato con tanta cura altro non riproduceva che la campana di vetro in cui solo il 20 per 100 della popolazione mondiale puo’ permettersi di vivere protetta e crescere serenamente i suoi figli. Venendo a contatto con una realta’ come quella africana, ti rendi conto che la maggior parte delle cose che dai per scontate nel tuo paese in realta’ non lo sono per nieñte, a partire dal pane quotidiano fino ad arrivare alla salute di un bambino. Improvvisamnte, smetti di riflettere sulle tue disgrazie perosnali e ti senti un privilegiato, uno che si puo’ permettere tutta la vita di vivere dentro una zanzariera e di chiudere gli occhi per non vedere le cose che non gli piacciono.
Qui mi guardo intorno cercando istintivamnete e disperatamnete qualcosa che somigli di piu’ alla mia vita italiana di tutti i giorni (un bambino pulito, una casa che non sia una capanna) e il non trovarlo mi spiazza moltissimo. Questo posto fa crollare le certezze piu’ elementari. La forza di stare qui te la danno le persone che credono che un mondo migliore sia possibile e che lavorano tutti i giorni non con la speranza di cambiare le grandi questioni, ma per regalare un sorriso ai poveri. 

Pamela Ventura.

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non tutti i mali vengono per nuocere.

Giovedì 6 Agosto 2009

 

Angola 05/Agosto/2009

Dopo una lunga notte passata a parlare tra me e  Davide  su quello che ci poteva accadere e su quello che dovevamo fare, sui dubbi e sulle incertezze che si sarebbero presentate al mattino seguente,  come per magia e con abile mossa, riesco a chiudere tutti fuori di casa (compreso me stesso ovviamente). Siamo li senza l’abbigliamento che avevamo previsto di indossare ed impossibilitati a seguire il programma della giornata che prevedeva di andare all’ oratorio.

Rimaniamo in prossimità del punto presso il quale dormiamo e riincontriamo i ragazzi della capoeira che avevamo conosciuto ontem.

Suona la ricreazione e veniamo avvolti da una marea di bambini i quali notano che, in mezzo a loro seduti su degli scalini, ci sono due omaccioni pelati  e tremendamente bianchi. La loro attenzione si rivolge direttamente su di noi  mostrano anche particolare interesse per le scritte che abbiamo sulle magliette (Hwa rang do / Tae Soo Do) e per la differenza di peli che abbiamo sul corpo rispetto a quelli che abbiamo sui capelli.  Considerata la loro  attenzione  mi viene in mente di fargli vedere una leva che studiamo nella nostra Arte Marziale. Come per magia  l’interesse si diffonde in maniera esagerato. Tutti vogliono provare la  leva. Pii siamo passati a dei punti di pressione e come per incanto tutto è diventato entusiasmo e piacere.

Dopo  due ore, distrutti fisicamente, finalmente siamo riusciti ad aprire la porta grazie ad un fabbro che nel frattempo ci è venuto in soccorso.

Nel pomeriggio possiamo uscire e vedere  la realtà fuori della missione dove siamo ospiti. Un percorso da brivido che strugge il cuore, siamo arrivati fino ad un oratorio denominato  Bakita. Non facciamo in tempo ad arrivare all’entrata perché assaliti da bambini di ogni età. Ci prendono per mano, si presentano, ci tirano, ci sorridono e ci avvolgono come se  la nostra visita fosse attesa.

Giochiamo con loro tutto il tempo,  con circa una calca di più di cento bambini, che capivano il mio bizzarro portoghese. Forse in Italia non comprenderanno il mio italiano. Faccio amicizia con un mininho di nome nandinho che e stato tutto il tempo attaccato alle mie gambe e sui miei piedi.  Sento la gioia di avere i muscoli a pezzi e di puzzare di buono.  Dopo aver giocato e lottato con tutti  mi giro e vedo Jkn (sigla Hwa Rang Do) Maria Luisa che urla “Tae Soo Do e Hwa Hang Do” e tutti insieme urlano con lei.

Il tempo passa con momenti di panico su cosa inventarsi  per continuare a giocare, tutto però si aggiusta in modo semplice. La giornata finisce e mentre ce ne stiamo andando tutti i bambini cominciano a salutarmi abbracciandomi e baciandomi le mani, le gambe  quasi a dire : ” .. grazie ci vediamo domani..” Mi rattrista il fatto che tornerò in Italia ma ora sono qui con loro e questo mi da tanta gioia.

Emanuele Veluti

 

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.. del tutto obbligatorio

Giovedì 6 Agosto 2009

Angola 03/Agosto/2009

Siamo arrivati, ancora all`inizio soltanto, ma non ci serve molto a capire che l`unica cosa da fare è fare.

Nel prepararsi ad un viaggio come questo si pensano mille cose e forse diventa facile scadere nel pensiero che si stia andando a fare qualcosa di speciale, arrivati qui ci si accorge che esserci è del tutto normale, del tutto obbligatorio!

Laura Della Mora

 

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Immigrazione e cooperazione allo sviluppo: questione di prospettive

Venerdì 5 Giugno 2009

La testimonianza di Julien, rifugiato politico del Congo perfettamente integrato in Italia, mi ha fatto riflettere sullo stretto nesso che esiste fra la cooperazione allo sviluppo e l’immigrazione.

Mi sono resa conto di quanto al momento si affronti il problema dell’immigrazione in modo miope, non solo a livello italiano, ma anche a livello europeo e mondiale (basti pensare al muro del Messico). Si discute, infatti, tutti i giorni della possibilità di far entrare nuovi clandestini o di rimandare indietro le barche che li trasportano e si parla di violazione dei diritti umani. In sostanza, sembra che una buona legge sull’immigrazione debba esclusivamente risolvere il problema di chi si accolli la massa di gente in arrivo. A questo punto mi viene da chiedermi se è sufficiente discutere e affrontare il problema solo da questo punto di vista e se invece la questione dell’accoglienza sia solo la punta di un più grande iceberg alla quale ne sono correlate molte altre.

Julien è un rifugiato politico e i rifugiati politici hanno uno status giuridico per il governo italiano diverso da quello di tutti gli altri immigrati.  Julien ha studiato fisioterapia, è una persona colta, competente nel suo ambito e ama l’Italia.  Per molti versi, la sua è una condizione di vantaggio.

Mi viene da chiedermi qual è il destino di tutti coloro che, disperati, arrivano sulle nostre coste e sono considerati indistintamente clandestini.  Possiamo accontentarci di accoglierli senza proporre un’integrazione, in un’Italia in crisi? Verrebbero rispettati i  loro diritti in quanto uomini solo perché non li rimandiamo indietro? Nella dichiarazione dei diritti umani c’è anche il diritto ad avere una vita dignitosa e un lavoro, quindi perché nessuno si interroga anche su questo aspetto, perché nella legge sull’immigrazione nessuno parla di integrazione? Perché nessuno smette di ragionare a livello nazionale e cambia punto di vista, affrontando la questione da una prospettiva diversa e più ampia? Mi viene da pensare che le mille contraddizioni che si generano nell’ambito dell’immigrazione siano simili a quelle che si trovano nell’ambito della cooperazione internazionale e partano entrambe da un modo simile di valutare l’uomo e il mondo.

Immigrazione e cooperazione allo sviluppo sono due facce della stessa medaglia e una buona legge sull’immigrazione non può prescindere da un rapporto stretto con la cooperazione allo sviluppo.

Tutti gli uomini hanno il diritto di poter vivere e lavorare nel loro paese d’origine, vicino ai propri affetti e in un mondo che è a loro più congeniale per tradizioni, cultura e lingua. Se le persone emigrano, rischiando la vita, è perché qualcosa non va nel loro mondo, caratterizzato spesso da povertà,  guerre e ingiustizie. Da occidentali , è d’obbligo, prima di fare una legge sull’immigrazione o anche prima di promuovere qualsiasi progetto di sviluppo, riflettere sul fatto che anche noi siamo indirettamente la causa del fenomeno stesso. Dobbiamo per l’ennesima volta cedere qualcosa, pensare che lo sviluppo e la crescita del cosiddetto Terzo Mondo passa anche attraverso la nostra decrescita, dobbiamo pensare che un mondo come l’abbiamo immaginato fino ad ora garantisce il pieno rispetto dei diritti umani solo ai più ricchi.

Penso che fino a quando ci saranno leggi o tentativi di ragionare nell’ottica di un mondo piccolo e ristretto, fino a quando si parlerà di problema dell’immigrazione a livello italiano semplicemente perché l’Italia è la più vicina alle coste dell’Africa e fino quando gli Stati ricchi non saranno disposti a concedere nessuno dei privilegi di cui godono e che danno per scontati, sarà difficile agire razionalmente in questo ambito. Non si possono chiudere gli occhi davanti a un mondo che cambia e far finta che alcune realtà non esistono; se poteva andar bene fino a qualche anno fa, quando l’Africa era lontana dagli occhi e dal cuore e ce se ne disinteressavamo, ora il famoso Maometto è arrivato alla montagna. Il problema deriva dal fatto che si è vissuto giorno per giorno, cercando di preservare i propri piccoli interessi e la classe politica si è accontentata di farlo.

Una buona legge sull’immigrazione va di pari passo con una cooperazione internazionale che funzioni bene e in cui, come diceva Colaianni, il progetto di cooperazione vada contro gli interessi di chi lo promuove. Non vi può essere crescita del Sud del mondo se non c’è una decrescita del Nord perché se viviamo così come facciamo lo dobbiamo anche a chi muore di fame e a chi rischia la vita per arrivare sulle nostre coste.

Pamela Ventura.

 

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Incontro col diverso da Sè

Mercoledì 27 Maggio 2009

Ognuno di noi possiede in sé una serie di idee, di credenze e di opinioni riguardanti il mondo che lo circonda. Molte di queste idee esistono da ben prima che noi nascessimo e , grazie ai nostri genitori, sono arrivate fino a noi. Facciamo un esempio forse sciocco, o forse no, che può aiutarci a capire. L’educazione che si da ad una bambina è diversa da quella data ad un bambino. Di solito alle bambine vengono riservate più coccole, si ricerca di più il contatto fisico tramite l’abbraccio, viene sottolineato l’aspetto emotivo da sempre correlato al sesso femminile. Il bambino, già da piccolo, riceve un trattamento diverso, gli si raccomanda di non piangere, di essere forte, di fare l’ometto. Da grande vengono sottolineati ed apprezzati la sua forza fisica e la sua durezza emotiva perché l’uomo non deve piangere mai.

Questo esempio è una forte generalizzazione del tipo di educazione che noi tutti, in varie forme ed intensità, abbiamo ricevuto. Chi di noi non ha in sé l’idea che l’uomo deve essere forte e protettivo e che il suo compito principale è fornire sostentamento alla sua prole? Forse anche le femministe più convinte in fondo al loro cuore la vedono così!

Tutto questo per dire che esistono dei pre-concetti che guidano la nostra vita senza, alle volte, esserne consapevoli. Quando entriamo in contatto con la cultura di un popolo che ha idee diverse dalle nostre ci rendiamo effettivamente conto di cosa ci spinge ad agire in un certo modo piuttosto che in un altro. Ci rendiamo conto di vedere le cose diversamente.

La diversità che andiamo a riscontrare fra noi e l’altro ci spinge inevitabilmente ad entrare in conflitto con l’altro. Questo perché dobbiamo abbandonare il nostro modo di vedere la realtà per entrare nel mondo dell’altro. Ciò ci permetterà di percepire il reale in un altro modo, ci permetterà di capire che la realtà come noi la intendiamo e la viviamo non è l’unica lettura possibile. L’opportunità di confrontarsi con l’altro da Sé permetterà la costituzione di una nuova chiave di lettura della realtà la quale sarà arricchita da entrambe le culture che, attraverso il loro incontro, avranno contribuito a generarla. Il processo d’incontro non è mai semplice, provoca conflitto, solo un atteggiamento empatico tra entrambe le parti permette la vera conoscenza tra gli interlocutori.

L’unica realtà possibile non è la propria. Tutti possiamo vivere serenamente senza sapere che, quando facciamo indossare una gonna ad una bambina, dietro questo gesto, c’è tutto un processo interculturale che va avanti da prima della nostra nascita. Il non entrare in contatto con altri modi di pensare ed agire non ci crea disagio. Ma le mille sfaccettature del reale ci saranno veramente chiare solo quando un altro ci metterà di fronte ai limiti della nostra percezione, quando verrà posto in dubbio il nostro regno di certezze.

Diana De Iuliis

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tigri???? che saranno mai?

Domenica 24 Maggio 2009

Con molta difficoltà scrivo oggi, l’unica cosa che mi spinge a farlo è la voglia che gli altri sappiano.

Non so scrivere di Africa, vorrei scoprirla prima di commentare, posso scrivere di me, di quello che ho vissuto e che sento ora.

Un anno fa sono stata in missione in Sri Lanka.

 Dove si trova??? Questa è la domanda che tutti mi hanno fatto sempre.

Piccola isola al sud dell’India, devastata dallo tzunami e dalla guerra…ma la maggior parte delle persone non lo sa.

Una volta rientrata in Italia una parte di me ha sentito l’esigenza di far sapere come è quel mondo, cosa accade, rispondere a quelle domande a cui giornali e tv non danno risposta. Allora ti chiedi: forse non è importante come la guerra del petrolio, dei missili e della bomba atomica; del resto che valore può avere una guerra che ha la mia età?

Nell’ ultima settimana si è sentito parlare di pace nello Sri Lanka; hanno ucciso il capo delle tigri (tigri????che saranno mai?). Sono tutti in strada che festeggiano si abbracciano e sorridono; la differenza razziale, linguistica, religiosa e culturale non esiste più, tutti sono pronti ad accettare gli altri…ma è poi cosi?

Appena sentita la notizia, ho avuto un balzo. L’ultimo sms che ho ricevuto dall’isola diceva "stanno facendo un genocidio, altro che pace, hanno massacrato tutti senza pensarci 2 volte".

Quando ero li pensavo a come poteva essere la pace, ma era questo quello che immaginavo? perché non mi viene da sorridere?…

Forse noi, con quel poco che ognuno riesce a fare, abbiamo il dovere di essere quelli che informano, cercando di essere obiettivi e tenendo sempre con gli occhi aperti…

Tunnera Annamaria

 

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Credo che l’esempio sia fondamentale

Domenica 24 Maggio 2009

Innanzi tutto voglio ringraziare chi mi ha offerto questa stupenda possibilità di crescita conoscitiva e interiore ma soprattutto l’ opportunità di rafforzare alcune convinzioni personali!

Dopo le lezioni e dopo aver conosciuto persone stupende che per la cooperazione internazionale vivono e lottano posso proprio affermare con sicurezza che nella vita se si hanno degli ideali e li si considerano veramente validi vale sempre la pena di farli valere ed esporsi per cercare di rendere migliori innanzi tutto noi stessi e poi ciò che ci circonda!

Il mondo è cattivo ma solo perché noi lo abbiamo fatto così e non è una giustificazione valida per non cercare di rendersi utili.

La visita alla FAO e la lezione che l’ha preceduta con il docente Luca Alinovi sono stati per me motivo di forte interesse in primis per la realtà che mi si proponeva a me quasi completamente sconosciuta o quantomeno ipotizzata.

Certo per gli argomenti trattati il tempo è sempre ridotto perché di una vastità e complessità enorme ma sicuramente, per il modo in cui sono stati affrontati e presentati, saranno un ottimo  punto di partenza per ulteriori approfondimenti.

Il quadro presentato devo ammetterlo è stato poco lusinghiero per quanto riguarda la realtà che ci circonda e per come poi le forze in gioco troppo spesso tentino di porre rimedio in modi non sempre confacenti alle reali necessità.

Ecco che la mediazione di organi istituzionali e non, diventa fondamentale per la riuscita di molti progetti rivolti ai paesi con delle emergenze spesso disastrose e di ogni tipo (ambientale, igienico, sanitario, alimentare, sociale ecc.). Troppo spesso gli interessi in gioco prendono il sopravvento dimenticando poi il fine o perdendo di significato nel corso del tempo.

Purtroppo gli intervenuti rivolti ai paesi " in via di sviluppo" sono stati fatti considerando il nostro modello di ed i nostri valori per imporlo a popolazioni con altre esigenze e peculiarità socio culturali, questo ha destabilizzato ancora di più i fragili equilibri dei molti paesi interessati, per giungere ad oggi con le numerose emergenze che percepiamo solo spesso come clandestinità, ma, dietro porta strascichi di disastri innescati dalla nostra società occidentale, il resto viene percepito solo come qualcosa che accade lontano da casa nostra!

Ecco che una presa di coscienza seria e una buona diffusione della cultura dell’informazione sarebbe già un intervento valido per dare una visione lungimirante della cooperazione internazionale.

Oggi siamo sempre più barricati dietro i nostri muri di cemento armato sentendoci al sicuro e magari foraggiando la prepotenza, ma solo uscendo da questi gusci chiusi riusciremo a cambiare e ad accorgerci di ciò che siamo fatti e per quanto lo rifiutiamo e ce ne sentiamo esonerati ,il collegamento tra ogni individuo, ogni essere, ogni elemento è strettamente correlato e il mutare dell’uno influenza sia direttamente che indirettamente l’altro.

Nel nostro piccolo credo che l’esempio sia fondamentale, perché solo con l’esempio si può creare la curiosità che è il preludio della scoperta e della capacità di porsi domande, dote troppo spesso accantonata negli angoli scuri della nostra mente!

Roberto Falconi

 

 

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Il progetto e la popolazione locale

Giovedì 14 Maggio 2009

 

La lezione di Angela Petenzi ha fatto luce su come si elabora un progetto di collaborazione internazionale e su quali passaggi sono essenziali per far si che i risultati di un progetto siano quanto più possibile duraturi nel tempo.

Non starò qui a raccontare ogni singola fase che porta alla stesura di un progetto ma vorrei sottolineare ciò che maggiormente mi ha colpita. Il fatto che la missione sul luogo da effettuarsi nella prima fase detta d’identificazione, al fine di incontrare i futuri attori del progetto, ossia gli stakeholders, sia essenziale ed importantissima. La partecipazione attiva richiesta alla popolazione permetterà l’emersione dei problemi e dei disagi che queste persone vivono quotidianamente. Il loro contributo è essenziale per l’individuazione delle varie cause del problema e delle eventuali strategie risolutive da adoperare e mettere in atto. Ricordiamo anche che, la partecipazione attiva di parte della popolazione alla realizzazione del progetto è un buon indice di riuscita dello stesso. Chi si impegna attivamente nello svolgere e nell’aderire alle attività del progetto farà da monito anche a chi non partecipa.   

Le motivazioni che spingono una parte della popolazione ad aderire alla progettazione e alla realizzazione del progetto sono tante. Quello che mi preme sottolineare è che, anche per un progetto, risulta fondamentale una conoscenza approfondita della cultura del popolo con cui andremo  a lavorare.

Diana De Iuliis

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dove va questo treno?

Giovedì 14 Maggio 2009

 

E mentre oggi i miei compagni di corso sono a Villa Santa Maria a seguire la quinta lezione sull’incontro con l’altro, stereotipi e pregiudizi, io sono qui, a casa con i miei genitori, nella mia bella casa sulla collina.Mi sono ammalata, malanno di stagione, come dicono ultimamente i media. E si, un po’ di febbre, un po’ di raffreddore, magari anche il mal di gola e la ricetta è servita: antibiotico.

Una bella compressa ogni 10 ore per due o tre giorni,al riposo, al caldo e in completo relax. Altre compresse per “proteggere” lo stomaco dall’aggressività (o dovrei dire efficacia) dell’amoxicillina o del ceftibuten, o altri fantastici principi attivi dai nomi più difficili e comprensibili solo per pochi eletti. Tornando alle compresse, aggiungiamo quelle per aiutare il fisico deabilitato e mettiamoci pure qualche rimedio omeopatico che fa tanto “post new-age”. E così, prendo il mio bel computer, l’accendo e inizio a scrivere i miei pensieri pensando all’Africa.

Superato il pensiero ricorrente “l’Africa così lontana, l’Africa così vicina”, trovo un altro che mi dice di ringraziare quello che ho. Anche oggi che mi sento triste, con questa febbre e altri malanni leggeri, sono una ragazza fortunata perché non ho nessun dubbio sull’assoluta certezza di avere tutti i mezzi possibili per essere felici.

E allora, con il mio corpo carico di medicine salgo sul treno e cambio città. Perché mi piace così. La mia vita che segue un filo logico fatto di cambi e incertezze.

E sul treno, tra spiagge già affollate di costumi colorati, un altro pensiero irrompe nella mia ragione.

E se questo viaggio non fosse mio? E se per una magica metamorfosi mi ritrovassi in un corpo di un’altra persona magari in Etiopia, cose succederebbe di quella (o questa) che sono oggi? Un semplice raffreddore potrebbe essere mortale? Niente medicine. In Africa le case farmaceutiche investono “relativamente”. Io odio il “relativo”, è beffardo, ambiguo e illusorio. Relativo può essere vivere in un Paese in via di sviluppo. Perché relativamente un mortale nato nei nostri bei Paesi super sviluppati riuscirebbe a sopportare la vita/non vita fatta di sopravvivenza in un non bel Paese in via di sviluppo.

E allora, dov’è che va questo treno?

Va dove la gente crede di andare e dove è imposta ad andare. E mentre il mondo che mi circonda continua a ripetermi “sei troppo gracile e legata alle tue comodità per andare in Africa”, io vado avanti, scendo e salgo quando voglio perché per me non “è andare in Africa”, ma vivere l’Africa, cercando di capire la sua storia fatta di crudeltà ma anche di speranze. Speranze costruttive che spesso rivelano sogni realizzati. L’utopia del mondo perfetto? No, ma la volontà di costruire un mondo migliore perché se io oggi sono qui e non in Etiopia o Nigeria o in qualsiasi altro Paese in via di sviluppo, e se il colore della mia pelle non preclude pregiudizi, il mio destino è salvo, ma salvo da chi e da cosa? E perché io sono salva e un altro no? E perché la presunzione umana sulla sua superiorità assoluta è così radicata da riuscire a far scatenare guerre e morti innocenti? Non aspiro al mondo perfetto, ma ad un mondo giusto perché nessun essere umano ma anche animale e vegetale, è superiore ad un altro. Ma per noi esseri umani cresciuti con l’illusione dell’intelligenza suprema forse è troppo difficile da accettare. Però basterebbe poco per far crollare il nostro super io, basterebbe guardarsi intorno per scoprire che non siamo diversi, che tutte le costrizioni legate alle  identità sono solo limiti mentali e che il linguaggio infine è unico ed universale.

Penso proprio che così potremmo essere liberi e felici

Assunta Giannico

 

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Quale modello di sviluppo applicare nei Paesi in Via di Sviluppo?

Mercoledì 22 Aprile 2009

…. questa è la domanda che nella quarta lezione del corso ci siamo posti ed a cui abbiamo tentato di dare una risposta.

Ogni mattina un occidentale si alza, beve il suo caffè importato, che so, dal Brasile, si mette le sue scarpette made in China, la maglietta ed i pantaloni prodotti in India, il suo orologio Svizzero e dopo aver mangiato un avocado dell’Africa si sente veramente pronto ad affrontare la dura giornata che lo aspetta. Ma ha dimenticato una cosa, di accendere la sua televisione prodotta in China, ed ascoltare le ultime news dal mondo.

Questo accade nei paesi del Nord dove si vive nel circuito del benessere.

Nei paesi del Sud, invece, si vive subendo le conseguenze generate dalla globalizzazione. Intere popolazioni non hanno più niente se non loro stesse. Non vivono più nel loro villaggio, si spostano sedotti da nuovi stereotipi dettati dalla cultura occidentale, vanno nelle grandi città attratti dalla prospettiva di trovare un lavoro ed un salario per vivere.

Rimane difficile spiegarsi come, alla luce della povertà e della fame che regna in tali paesi, sia possibile rintracciare degli elementi a-tipici come la coca cola, magliette americane, televisori di ultima generazione. Questi elementi stonano profondamente alla luce del contesto in cui vengono rintracciati. Ma poi basta pensare alla globalizzazione, alla liberalizzazione del mercato e tutto ha un senso, tutto si spiega.

La globalizzazione ha avuto una serie considerevole di conseguenze sulla vita degli esseri umani, di tutti noi. Una fra tutte non deve passare inosservata: l’uniformazione di massa. Ormai i bisogni, i desideri, i valori sembrano essere gli stessi ovunque. C’è la perdita del rispetto per le proprie radici, per i propri valori, in poche parole, per la propria cultura.

Quando parliamo di progetti di sviluppo non possiamo e non dobbiamo sottostimare le peculiarità delle zone target dell’intervento.

Un’analisi dell’economia del paese, delle abitudini, della religione delle idee e delle credenze e le leggi che vigono nella popolazione sono fondamentali per la riuscita di un progetto. Affinché un intervento possa avere dei buoni frutti è impensabile che si adotti un atteggiamento didattico od anche dittatoriale del tipo “devi fare questo” “devi fare quello”. È essenziale costruire un dialogo paritario con le popolazioni del luogo, promuovere un processo decisionale e di crescita che coinvolga attivamente le persone nella realizzazione del progetto stesso. In una realtà in cui le uniche sicurezze sono la fame e la povertà non si può pensare di cambiare tutto con lo scoccare delle dita. L’impotenza appresa genera una sensazione di sciagura imminente che blocca le attività, il pensiero, l’azione. Non si può pensare di intervenire su di una realtà senza impegnarsi nell’analisi delle sue molteplici sfaccettature. Non si possono scindere ed analizzare separatamente l’economia, l’organizzazione della società e le sue credenze come fossero elementi distinti. È impensabile oltre che impossibile!

La società è costituita da individui che sono influenzati dalla società stessa, la quale ha delle regole che il singolo è portato a rispettare. Alla luce di tali elementi un progetto deve porsi degli obiettivi a lungo termine che si avvalgano dell’utilizzo delle risorse e degli attori locali.

Proporre degli obiettivi, coinvolgere attivamente la popolazione nella messa in atto del progetto sono dei mezzi efficace per promuovere l sviluppo del senso di efficacia delle persone che vi prendono parte. Le popolazioni locali avranno la possibilità di poter sperimentare la sensazione di poter fare qualcosa per il loro futuro, di modificare la loro condizione di fame e povertà.

Indispensabile per la riuscita del progetto sarà il rispetto della cultura del popolo in questione, intesa come insieme di norme , regole, saperi, abilità, idee, valori, miti, divieti che si trasmettono di generazione in generazione. Questo permetterà un intervento di gran lunga più efficace di quelli che non ne tengono conto. Ricordiamo che ogni cultura di per sé è unica ed irripetibile e come tale deve essere rispettata e deve avere la possibilità di esprimersi liberamente in tutte le sue forme.

Diana De Iuliis

 

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