Archivio del 2009

Finalmente siamo in Ethiopia

Giovedì 27 Agosto 2009

 

Dopo un lungo corso, tante lezioni e testimonianze, finalmente siamo in Ethiopia, impazienti di vedere con i nostri occhi la realtà di questo paese, nella speranza di saziare la sete di conoscenza e la voglia di fare che ci accomuna tutti.

Calorosissima l’accoglienza ad Addis Ababa, dove ad attenderci  c’erano i nostri corrispondenti: Togo e Belayneh, coordinatori etiopici del GFS (gruppo Fratelli Solidali) e Paolo, missionario laico col quale stiamo affrontando la prima esperienza nella casa di accoglienza di Emdibir.

Subito ci accorgiamo come il tempo trascorra più lentamente qui, assaporando il rito del caffè in una capanna tradizionale di fango e paglia, o ascoltando i locali che parlano con ritmo lento e quasi sottovoce.

Assistendo alla costruzione di un edificio ci ha fatto sorridere la "carriola etiope" (una lamiera con due pali che trasportano come una barella), ma si sa che le vecchie usanze sono difficili da abbandonare… ed in alcuni casi sono più efficienti e funzionali delle nuove tecnologie

Poi l’asilo della missione, un’onda di entusiasmo ed euforia, che ci  ha travolti tra mille sorrisi, giochi e canzoni, ma non solo: i bambini si sono mostrati curiosi ed interessati alla lezione di italiano-amarico, che le ragazze con l’aiuto di Shitaye hanno improvvisato il primo giorno.

Per finire l’atteso imprevisto: la pompa dell’acqua che alimenta il nostro deposito non va più, dopo una prima occhiata ci accorgiamo che le fasi sono invertite e la pompa gira al contrario, come se non bastasse un corto all’impianto elettrico fa saltare l’interruttore principale…

così, con un paio di interventi, risolviamo il problema, ripristinando la luce e l’acqua della missione.

Giuseppe Lannutti Mario Adimari

 

 

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Cosa porterò con me

Sabato 22 Agosto 2009

Siamo quasi alla fine di questa esperienza e gli ultimi giorni fai un po’ il bilancio di come è andata, cosa ti ha colpito, cosa  porterai con te, quali ricordi.

Credo e sono sicura di questo, che mi ci vorrà molto tempo per capire ciò che ho immagazzinato, tempo per pensare a ciò che è stato, e questo accadrà una volta tornata a casa, alla vita quotidiana, solo allora potrò dire cosa mi è rimasto. Ora mi sento piena, piena di tutto, emozioni, sensazioni, cose belle e brutte.

Se torno alla partenza per arrivare qui, sicuramente immaginavo molte situazioni in maniera differente. Vivere alla Lixeira è dura, un po’ mi ero preparata, ma stare qui, vedere dal vivo, sentire ed odorare è tutt’altro!

Poi ti sposti per la città e continui a vedere altro…grattacieli, SUV, cartelloni pubblicitari al plasma..e allora ti chiedi come sia possibile, come è possibile che alcuni vivono nel lussoe nel quartiere accanto molti vivono in catapecchie costruite su una montagna di rifiuti!

Poi ti sposti ancora, fuori dalla città e vedi altro ancora. Un’Angola piena di colori, di profumi, verde, rosso, arancio.

Tanta gente povera, ma che lavora, che forse è più aperta e meno diffidente di chi vive in citta’.

Un mese è’ poco, quasi niente per conoscere un paese; un paese così diverso e lontano da quello in cui vivo e forse strano da capire per me. A Roma mi ritrovo sempre a correre, correre, mentre qui capita spesso di star fermi ad aspettare, aspettare.

Anni fa magari si impiegava tantissimo tempo ad andare da un posto all’altro della citta’ a causa delle strade…ora e’ uguale, impieghi tanto tempo a causa del traffico, delle troppe macchine e ancora mi domando come sia possibile.

Mi chiedo quanto c’entri io, il mondo occidentale in cui vivo, se il tempo dello sfruttamento non è finito, se ora ci permettiamo di dirgli e fargli avere degli esempi ‘giusti’ da seguire.

Tante, tante domande si muovono nella mia testa, sentimenti contrastanti, un tumultuo e confusione…ecco cosa mi portero’!!!

Maria Luisa Medelin

 

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La amo e la odio ormai

Giovedì 20 Agosto 2009

  

2002, 2003, 2004, 2006 e ora 2009: sono gli anni in cui ho vissuto l’Angola. Dico "vissuto" perché non penso di averla visitata da turista o di averci semplicemente lavorato da cooperante. Ho instaurato con essa una relazione strana.

Ogni volta e’ stato un incontro diverso con questo Paese meraviglioso e martoriato insieme, terra di contrasti, popolo generoso e vitale ma allo stesso tempo violato nella sua stessa essenza. Le riflessioni che mi ha sempre innescato sono innumerevoli e contrastanti anch’esse e ad ogni modo ogni volta ne ho fatte di diverse. Il 2002 era stato l’anno della scoperta per me, la scoperta di una terra devastata ovunque. Devastata la terra e devastate le persone, un mondo impossibile, una realtà inconcepibile, tanto da sperarne la sua non esistenza. Sognare di chiudere gli occhi e riaprirli vedendo altro, altre cose, altre facce, altre strade, altro! Potendo scappare, magari cambiare canale ogni tanto… Invece no, costretto a vedere tutto, 24 ore su 24 e per un mese intero! Il 2002 però era anche l’anno più felice per la popolazione angolana perché finiva infatti la lunga guerra trentennale che ne aveva deturpato il corpo e lo spirito. Era l’inizio della fine della guerra, un timido sogno che forse si avvera, una fievole speranza che davvero quella parola senza senso esista: pace! E quella volta lo fu davvero a quanto pare. Così quello per me fu l’anno del colpo di fulmine nonostante tutto. Poi più di un anno di conoscenza, tornando dal 2003 al 2004, per ritrovarla già cambiata nel 2006, avviata quantomeno ad un cambiamento. Nuove merci, più banalmente nuovi prodotti alimentari, facevano capolino tra i mercati, addirittura un nuovo grande supermercato a Luanda a fare da concorrente al sempre incontrastato e vecchio Jumbo. Spariti o quasi i posti di blocco sulle strade del Paese, ridotti drasticamente i militari in giro e persino un po’ le forze di polizia. La telefonia mobile appare e si diffonde anche fuori Luanda con uno scarto spazio-temporale che mette in mano il cellulare all’abitante del villaggio che ancora non ha il frigorifero in casa o che non ha neanche mai visto un classico telefono a fili. Nuove presenze si aggirano numerose per l’Angola. A ricostruirla. Sono un milione circa di cinesi. non parlano il portoghese, non l’inglese, non il francese… Non comunicano e basta, lavorano però. Non lavorano solo a livello di quadri, no. Fanno tutto, fanno tutto loro alacremente, sotto il sole e con la pioggia martellante e gli angolani, disoccupati la maggior parte li osservano, spesso trovandoli strani e quindi molto divertenti. Risate a non finire questa gente mica ha perso l’allegria nonostante tutto! ingenuità disarmante. Dall’altra parte colonizzazione silenziosa.

Venendo ad oggi, agosto 2009, mi sento cambiata nel mio modo di vedere e vivere l’Angola. Il mio rapporto con questo Paese si é evoluto ultimamente. Da un iniziale amore cieco, irrazionale, acritico e inconsapevole sono passata ad un rapporto più maturo e guardingo ma anche di insofferenza con  l’Angola. Eppure il fatto che io continui a desiderare di rivederla a distanza di tempo, di sincerarmi del suo stato di salute, di sperare per la sua crescita futura in un senso positivo o almeno in una direzione che sia la meno sbagliata possibile… Mi fa intendere che la vivo pur sempre con una certa commozione. Alcuni, cooperanti, espatriati in questo Paese, diplomatici o simili si fanno cinici col tempo, sarà un’autodifesa o semplice disillusione? Un po’ li capisco, ogni tanto mi sono sentita indurita dentro anch’io.  

Ora che persino le strade non sono più di terra, di sabbia o di mezze pietre e vecchio asfalto distrutto… Ora che invece di 12 ore (salvo imprevisti) per arrivare da Luanda a Malanje ne impieghiamo la metà e che l’asfalto é arrivato fino alle Pedras Negras o al Parco Quilombo di N’dalatando, mi pare che questi posti siano entrati a far parte a tutti gli effetti del mondo, sono divenuti città, luoghi di interesse, hanno assunto di diritto un posto nelle mappe, nelle cartine geografiche che troviamo nelle agenzie turistiche o nelle aule delle scuole e non sono più soltanto luoghi remoti e impervi, leggende legate ad antichi esploratori o a guerriglieri nascosti nella foresta. Ora Luanda non é più un buco nero dal quale si passa ad un’altra dimensione, ora é terra per investimenti, é nuovo mercato, é entrata anch’essa in quel grande mondo a senso unico che é il nostro, il mondo globalizzato. L’isolamento é finito, l’Angola esiste! L’Angola é ricca (la nazione, non assolutamente la popolazione), petrolio diamanti e terre, città interamente da ricostruire. E´ancora terra di frontiera, terra di conquista, immensamente appetibile ma accessibile anche. Forse troppo. Ciò me la rende vulnerabile. Il dilemma che mi rimane in mente quindi é: come si svilupperà? Io non ho dubbi sul fatto che si sviluppi ma temo il come… Volerne il suo bene al di là del desiderio ormai esaurito di rivederla per un’ennesima volta (lo penso ora ma sarà vero?) mi rimanda ad un contrasto mio interiore. Come poteva essere altrimenti? Siamo in un luogo di contrasti. Come una passione fugace che si trasforma in rapporto vero e inscindibile di amore-affetto, il mio personale contrasto infatti é: Angola non ti sopporto più ma ti amerò per sempre!

Bianca Saracino (accompagnatrice del gruppo a N’dalatando)


 

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Mal d’Africa

Giovedì 20 Agosto 2009

 

Dopo quasi tre settimane di permanenza qui alla Lixeira, oltre ad essere diventati una presenza abitudinaria per gli abitanti di questo luogo e per tutti i bambini, entriamo in contatto con chi ha fatto la nostra stessa esperienza negli anni passati scoprendo le loro diverse storie. 

Ci ha colpito il potere di attrazione e cambiamento che questo luogo ha esercitato sulle loro vite.

Tutti, dopo neanche un mese di soggiorno, sono tornati a casa e hanno deciso di intraprendere un cammino che li facesse tornare, concretizzando il loro impegno nel contribuire al lavoro di sviluppo di questo luogo.

Ognuno a suo modo: chi attraverso un cammino di Fede vivendo pienamente la Comunita’ Salesiana; chi mosso da interessi “sentimentali” e che oggi ha formato una famiglia; chi seguendo dei progetti a lungo termine.

In fondo, non ci stupisce, perche’ una volta conosciuta questa realta’ non ci si puo’ allontanare con leggerezza dimenticandola, anzi non la si può che includere nella propria vita consentendole di arricchirci nel gesto e nella pratica dell’altruismo, valori che qua acquistano uno spessore impensabile altrove.

Hwa Rang Do

 

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Dove andrà l’Angola?

Mercoledì 19 Agosto 2009

 

 

Traffico disordinato ed intenso. Pedoni ed animali che all’improvviso attraversano la strada. Commercio e mercati a cielo aperto. Ragazze appena adolescenti, con un bambino legato alle spalle. Baracche di terra, ammassate ai lati della strada. Puzza di bruciato, polvere e terra rossa ovunque. Cani, maiali e bambini che scavano insieme nell’immondizia. Rigagnoli d’acqua stagna.  Centinaia di bambini, pochissimi anziani. Treccine, sandali e qualche straccio addosso. Questa è l’Angola che appare ai miei occhi: primitiva, disarmante, basilare.

In giro regna il caos, il disordine, la confusione. Ti rendi subito conto che c’è molto da fare e ti chiedi da dove iniziare?!

Guardi i volti della gente, gli sguardi persi, capisci che ci vorrà tanto tempo per ricostruire un paese che sembra un bimbo che muove i primi passi. 

Dopo una guerra civile durata 27 anni che ha devastato l’intero Paese, provocando almeno mezzo milione di morti e riempiendo il territorio di mine inesplose, c’è voglia di normalità in Angola. Voglia di riprendere a costruire, a lavorare, a studiare…ma la ripresa è dura, ed i progressi tardano ad arrivare!

L’eredita della guerra pesa come un macigno: mancano luce elettrica, acqua corrente e fognature. Non ci sono servizi, negozi, uffici o infrastrutture. L’agricoltura è pressoché assente. Le poche case lasciate dai colonizzatori portoghesi, sono tutte sventrate.

In giro tanta polizia a ricordare che il percorso verso una nazione veramente libera è lungo. L’accesso ai bene è consentito solo ad una minoranza privilegiata, la maggior parte vive di stenti anche se con grande dignità e voglia di andare avanti.

Insieme ai Cinesi che costruiscono strade, ed a qualche signorotto portoghese che è tornato ad investire i suoi soldi in Angola, a N’Dalatando siamo gli unici bianchi che si vedono per strada.

Qui nella missione i bambini impazziscono con noi:ci riconoscono, ci chiamano per nome, aspettano sul porticato che arrivino le 14,30 ed inizi l’oratorio. Sono tanti, piccoli, furbetti, impazienti, sporchi. Ti si appiccicano dappertutto, cercano la tua mano, non ti mollano, ti riempiono di baci, ti puntano gli occhi dritti nei tuoi. Non chiedono molto: il fatto che tu sia li, basta a farli sentire amati. Un foglio e qualche colore; uno stornello ed un balletto improvvisato…è quel che basta per vederli felici. È  difficile da accettare: vorresti fare molto di più, lasciare una traccia, un ricordo, qualche insegnamento. Ti senti inutile, ti chiedi se ha un senso ciò che stai facendo.

Il settore dell’educazione e’ trascuratissimo: molti non sanno ne leggere ne scrivere. Non c’è personale qualificato per lavorare nelle imprese. L’economia è ferma. Bisogna rimboccarsi le maniche e ripartire da zero. Le risorse ci sono. quello che manca e’ formazione, coscienza, e rispetto. Ma è evidente che ci vorrà tanto, che il cambio sarà lentissimo, e lo sforzo da fare molto.

Vedo un bambino che costruisce mattoni di terra cotta per la sua nuova casa. Penso che è cosi che va immaginata la ricostruzione del paese….un mattone dopo l’altro, a piccoli passi, con le mani dei più giovani.

Laura Teodori.

 

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Contrasti

Martedì 18 Agosto 2009

Ho scelto di essere qui oggi, di stare quaggiù, in Angola, a N´Dalatando, e sono davvero felice di averlo fatto, di aver colto l´occasione ed essere partita per vivere questa esperienza. Oggi lo sono. Lo sono dopo aver vissuto giorni di caos interiore, confusione che non permetteva l´espressione di quanto sentivo nel profondo. Una sorta di blocco dovuto alla molteplicità delle cose viste, ai contrasti di questo brano di Africa che sto leggendo, conoscendo per la prima volta.

L´impatto con Luanda, appena arrivati, con le sue strade polverose e affollate di gente e macchine in disordine, costeggiate da una miriade di colori e odori, é stato come un pugno nello stomaco che mi ha lasciato senza fiato, con gli occhi sbarrati e attenti per carpire e tentare di capire. Ciò che tenti di fare é questo, appena arrivi qui o almeno é questo ciò che é capitato a me: cercare di capire.

Capire il senso di quelle scene di vita immerse nella confusione, nella frenesia, in un ritmo veloce, quello della vita che quaggiù é qui e ora. Anche solo provare a capirlo é arduo e forse presuntuoso, ma tant´é che é questo che ho sentito, in prima battuta.

Un´immagine piú di altre ha colpito la mia attenzione, quella dei divani e delle poltrone colorati di tinte squillanti che arredavano i lati della strada, …esposti lá, in vendita… e vicino le casse da morto, i sarcofagi, sistemati nelle agenzie funebri, lí accanto. Simboli di riposo che fanno riflettere.

Sedersi per riflettere e meditare su quanto vissuto, come sto facendo ora.

I contrasti, le facce dell´Africa e degli africani.

Padre Cassoma, direttore del centro missionario di N´Dalatando, brillante e instancabile, che con coraggio e determinazione conduce il suo lavoro per "cominciare" la vita qui, nel quartiere di Kipata. Dirige con decisione il suo gruppo, i suoi irmaos Paolo e José, e i suoi collaboratori per creare un centro sociale, un punto di riferimento per la gente del posto, giovani, donne e bambini che vengono qua quotidianamente per apprendere, imparare, giocare e cantare. Una faccia questa dell´Angola che si rialza dopo 30 anni di guerra civile, morte e distruzione.

L´uomo ubriaco incontrato domenica scorsa lungo la strada polverosa dell´aldeja di Zenga, stordito dal liquore di banana, alienato dall´alcol, rientrato alla capanna sostenuto dalla moglie. Un´altra faccia, quella della stanchezza, dell´oblio generato da chissà quali ricordi, dolori, colpi che la vita gli ha inferto, che lo fa sentire stanco di vivere, sconfitto.

Due immagini, due figure, due facce. La vita e la morte.

E ancora.

Il volto di un bambino steso a terra, in mezzo alla strada, morto. Uno sciame urlante di persone inferocite che si precipitano a bloccare il responsabile per fargli "assumere le sue responsabilità". Si, responsabile di guidare col piede spinto sull´acceleratore senza porre attenzione alla vita che scorre accanto a lui, nel villaggio che costeggia la strada. Un´immagine ormai impressa nella mia memoria che mai dimenticherò. Un piccolo uomo che ha finito i suoi giorni sull´asfalto mentre carico di gioia e di vita attraversava la strada e un altro che forse é già morto per mano di altri per l´errore commesso. Violenza, vendetta. Vita e morte.

I volti solari delle donne, giovani e anziane, cinte da vesti brillanti e variopinte, che cantano con gioia durante la messa della domenica nell´aldeja.

Donne che emanano vita, amore, forza, energia con la quale affrontano il quotidiano, raccolgono i frutti della loro terra e si prendono cura dei figli,… numerosi che danno alla luce, speranza di un domani migliore, diverso. Donne dal volto austero, severo, vestite di panno nero, simbolo di lutto, perdita, mancanza. Vita e morte.

Contrasti.

Contrasti di vita e morte. Di luce ed ombra. Di bianco e nero. L´incontro tra il mio io, la mia esistenza e la loro, il loro modo di vivere. Contrasti che fanno riflettere, pensare al filo che ci lega, ci unisce. Alle responsabilità che ognuno di noi ha. Qui lo senti il contrasto, te ne rendi conto, non é come leggere la pagina di un giornale o vedere un´immagine in televisione. Qui la tocchi la differenza e comprendi quanto poco senso ha condurre un´esistenza d´apparenza, fatta di futili bisogni, irreali, inventati, come la nostra, quella dei ricchi europei. Qui cogli l´essenza della vita e della gioia di vivere negli occhi della gente, dei bimbi. Di tutti quei numerosi bimbi che accorrono qua, al centro, a giocare e danzare con noi. Bambini vestiti di cenci, ricoperti di polvere rossa, quella della terra su cui rotolano da mattina a sera, con nasi gocciolanti mentre cercano di sfamarsi leccando vasetti vuoti di yogurt. Qui mi sento felice, davvero felice, in mezzo a loro, che alla fine del gioco e del canto t´abbracciano e ti baciano per ringraziarti, per farti rimanere. Ti riempiono il cuore e ti fanno sentire che é doveroso scegliere.

Scegliere di dare, fare per e con loro.

Silvia Ballini

 

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… forse la maestra me lo può spiegare ….

Lunedì 17 Agosto 2009

  

Stando con i bambini ci si ricorda la spensieratezza di quando lo si è stati;  ora proverò a tornare anch’io un po’ bambino per svolgere, spero con chiarezza, il tema che la maestra mi ha dato

Tema: Descrivi  l’esperienza in Africa  comparandola con la tua vita in Italia.

Svolgimento

La città dove stiamo si chiama  N’dalatando, insieme a me ci sono altri compagni di scuola e sono sette. Per venire qui abbiamo viaggiato tanto tanto; abbiamo preso  il treno, l’aereo e anche la macchina che è grande e anche fuoristrada  perché certe volte le strade sono rotte.

Le città che abbiamo attraversato sono un po’disordinate ci sono le macchine diverse da quelle italiane e le strade sono polverose, ma la polvere non è come quella italiana è rossa.  I negozi ce ne sono ma ce ne sono pochi e la gente vende le cose per strada non è come da noi dove i negozi sono tanti e ci sono anche i centri commerciali. Le strade sono lunghe e dritte e le macchine corrono molto anche i camion corrono e sono molto grandi e pericolosi, purtroppo capita che ci sono degli incidenti, ma qui non esistono i numeri da chiamare in caso di incidente, i pompieri ci sono ma stanno nella loro casa e non vanno neanche a spegnere i fuochi che la gente accende la notte nelle campagne. Le ambulanze sono poche e la gente si arrangia per essere curata con mezzi propri. La maestra ci ha detto che se un guidatore investe un’animale o peggio una persona si radunano altre persone che picchiano il guidatore e alla polizia non importa molto di quello che succede in questo caso. Invece capita spesso che per strada ci sono i poliziotti che ti fermano anche il nostro pulmino l’hanno fermato varie volte, in Italia quando ti fermano stanno di fianco alla strada e non succede tanto spesso.

Qui in Angola l’immondizia sta di fianco alle strade e di tanto in tanto passa un camion che la raccoglie e la maestra ci ha detto che la buttano nei campi o nelle foreste, quella che non buttano la bruciano e certe volte soprattutto la sera si sente una grande puzza di plastica bruciata. In Italia noi a scuola raccogliamo divisi la carta, la palstica e il vetro perché una volta un signore che è venuto a scuola ci ha detto che se facciamo così si riduce l’inquinamento della terra.

Le giornate cominciano presto poi andiamo un po’ a scuola poi dopo stiamo in classe con la maestra per parlare delle cose da fare, il pomeriggio giochiamo con i bambini di qui che sono un po’ diversi da noi, corrono sempre e più veloce ed hanno i vestiti tutti impolverati, facciamo tante cose insieme, disegnamo, coloriamo facciamo i balli insieme e poi giochiamo a pallone e siamo tanti ma i primi giorni non riuscivamo a fare le squadre e il campo non aveva limiti e per capire dove stava il pallone bastava guardare la nuvola di polvere che si sollevava. I bambini di qui sono molto bravi a giocare a pallone e ci toccano sempre perché sono curiosi ed hanno gli occhi vispi, la maestra ci ha detto che non hanno la televisione e neaanche la playstation e certe volte non mangiano, inoltre a scuola non ci vanno sempre tutti certi lavorano anche o devono accudire i fratellini e capita di vedere le bambine che hanno il fratellino piccolo appeso sulle spalle. Ho conosciuto un bambino che aveva undici anni e non sapeva leggere e nemmeno scrivere, all’inizio ho riso un po’ poi ho pensato a quanto siamo fortunati noi che possiamo mangiare ed andare a scuola ed a quanto è difficile vivere qui. Penso che nonostante i loro problemi i miei coetanei angolani sono felici e si divertono mentre noi che abbiamo tante comodità ci annoiamo e facciamo i capricci e allora ho pensato cos’è che non va bene e ho pensato tanto ma non ho trovato la risposta forse la maestra me lo può spiegare. Fine del tema.

Matteo Simoni classe 4B

  

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Mentre mi addormento sento lo schiamazzare di tanti animali di fattoria……

Lunedì 17 Agosto 2009

5.30 di mattina e a Luanda sembra essere  l’1.30 di un qualsiasi giorno settimanale: gente in attesa di mezzi per uscire dalla città, una fila chiassosa e disordinata di vetture stracolme di persone. Dal mio arrivo è la prima volta che torno, con il gruppo, ad avventurarmi per queste strade a bordo delle vetture … scattanti dei padri Salesiani.

Tutti abbiamo bene o male visto il percorso che ci attende ma solo dopo, nel viaggiare,  ci si può veramente rendere conto di cosa significhi. Quelli che si mettono in cammino, possiedono una certa capacità creativa e dispongono di una grande intuizione: talvolta il tratto di strada è interrotto, ma al posto di un cartello si trova un ramo (sempre che una capra di passaggio non se lo sia mangiato!) oppure la strada asfaltata termina di esserlo e non perché si sia sbagliata strada.

È certo che nessuno di noi sarebbe giunto con la stessa velocità a Kalakala, il primo luogo incantato (poco distante da Luanda) che abbiamo avuto la fortuna di conoscere durante questi due giorni di viaggio.

Kalakala è una fattoria che accoglie circa 200 ragazzi, fornendo oltre che un’istruzione primaria, anche una conoscenza specifica in campo agricolo, un’ambito produttivo che questi anni di costante conflitto hanno fortemente danneggiato e contribuito ad abbandonare. Eppure se c’è una cosa che durante questi giorni di viaggio mi affascina di più i miei  pensieri è la natura.

Fiumi, palme, alberi il cui nome sembra uno scioglilingua, laghi e fiori, fiori dovunque, nelle città,  ai bordi delle strade, in cima a rami di alberi sembrano finti.

Arriviamo al Santuario di Mama Muxima, una Madonna dallo sguardo e dalla postura severa (da una Madonna che ti si presenta con le braccia conserte e con lo sguardo che ha il vigile quando imbocchi un contromano … immagini piu’ facilmente che possa aver fatto il gesto di calpestare il serpente!). Da qui iniziamo a fare conoscenza con il fiume che piu’ di una volta incontreremo nel nostro viaggio: il fiume Cuanza e non so come ma da questo momento e’ come se avessimo iniziato ad avere un altro ritmo, il tempo passa come sempre ma con una diversa scorrevolezza, quella che occorre a spiegare il cammino di un bambino dal proprio villaggio per raggiungere la scuola o quello della donna per andare a lavorare nei campi (e vogliamo parlare del rientro notturno in bicicletta lungo la statale del signor Vattelapesca?).

Arriviamo a Dondo percorrendo una strada da Camel Trophy: sabbia rossa, dune, avvallamenti, ponti e ponteggi ma pochi animali.

Dondo è una cittadina che sembra aver vissuto un periodo di mondanità che non si è lasciata del tutto alle spalle, è qui che è iniziata l’attività missionaria di Don Bosco.

Nella Missione c’è un laboratorio di pasticceria, una falegnameria, una sartoria e un studio di decorazione. Non ci perdiamo la visita in nessuno dei laboratori provocando anche un po’  di insolita confusione che però ci da modo di gustare dei gustosissimi dolcetti.

Si risale in macchina alla volta di Calulo. Accompagnati da un’insolita giornata di sole continuiamo a stupirci della varietà paesaggistica di questo paese: montagne massicce e brulle costeggiano il nostro cammino. Io resto sveglia a tratti, anche per me è arrivato il fatidico momento del cedimento fisico, una lieve febbre m’impedirà di vivermi Calulo by night che dicono sia un’esperienza da fare. Resto nella missione, un casolare di campagna circondato da alti fusti di palma e alberi di banano, mentre mi addormento sento lo schiamazzare di tanti animali di fattoria.(CONTINUA… )

Laura Della Mora

 

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comincio a capire qualcosa

Lunedì 17 Agosto 2009

Sono qui solo da pochi giorni, ma comincio a prendere consapevolezza del luogo dove ed a capire cosa intendeva chi mi diceva che sarebbe stata molto dura. Fra le tante, forti impressioni, mi hanno colpito positivamente gli animatori angolani che ci accompagnano nei  centri Salesiani sparsi nella Lixeira. Sono tutti volontari, punti di riferimento per la popolazione e molti di loro appena adolescenti. Ragazzi che si mettono a disposizione dei più piccoli o di quelli che si trovano in condizioni di  bisogno maggiore. Questo é uno dei risultati o degli effetti  dell’opera dei missionari Salesiani; aver creato un circolo virtuoso che coinvolge  tutti quelli che credono di poter migliorare e coltivare speranza anche per chi nasce in questo luogo che non riesco nemmeno a definire.

Davide Pizzo

 

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Le potenzialità inespresse

Martedì 11 Agosto 2009

 

 

 

  

In mezzo all’aria polverosa di sabbia rossa, sopra cumuli d’immondizia, dentro case di terra e lamiere ho scoperto una vitalità e una curiosità eccezionali, occhi che rapiscono ogni piccolo particolare per poi riesprimerlo com il sorriso, con i movimenti o ricostruendolo con le poche cose arrabattate tra i rifiuti.

In questo mi sento pieno di speranze e responsabilità, perché qui si apprende e molto velocemente ogni novità e ogni messaggio, c’è fame di sapere e di conoscere per uscire da quel mondo che lascia spazio solo ai sogni e ai rapporti sociali, spesso contrastati, fatti di aiuti reciproci o violenza, espressi con una fisicità spesso disarmante. Qui prima delle parole arriva la mano e appena ne stringi una ce ne sono già molte altre protese verso di te che sei il collegamento come quell’immagine di mondo distorta che arriva dalla televisione.

Ecco che i valori cambiano e i ragazzi rincorrono ingenuamente feticci arrivati dall’occidente e non si accorgono che la loro terra intorno brucia di notte e di giorno.

Questa e la nuova responsabilità dell’ occidente, creare una dignità diversa dall’apparire per valorizzare un paese che si rialzi davvero dagli orrori della guerra, della fame e della povertà più assoluta.

Una riflessione che spesso mi capita di fare guardando l’Africa in cui sono immerso è che bisogna iniziare tutto a partire dall’agricoltura,la scuola, la sanità, i servizi sociali ecc. Che ora sono solo prerogativa di pochi e per pochi (come dice Padre Cassoma  “ questo è il paese delle nuove possibilità).

I mercati qui si stanno aprendo e purtroppo però i bisogni non vengono dettati dalle reali necessita, ma da quello che viene proposto come moda tendenza e status, nebbia per le menti di questi giovani che dovranno ricostruire il loro paese.

Ieri con tutto il gruppo abbiamo visitato la PETRAS NEGRA, un posto incantato dove le imponenti rocce sembrano essere apparse dal nulla in mezzo a una pianura sconfinata, come a proteggere un paesaggio unico da quello che intorno accade.

Ho avuto l’impressione di vedere l’Africa, quella sognata, per la prima volta, questo mi ha riempito di forti emozioni  di fronte a tanta magnificenza, come al solito poi il contrasto con le potenzialità non valorizzate di questo paese.

Il turismo potrebbe essere davvero un’altra importante occasione di sviluppo per donare un volto diverso a tutto ciò che fino ad ora e stato territorio di scontri armati. Le tracce del passaggio della guerra sono in ogni anfratto sotto ogni pietra e contro ogni parete.

Vedere un simile splendore e poterlo fotografare solo da lontano, se non ci sono strade battute, per paura delle mine anti uomo fa davvero soffrire e interrogare sull’ operato dell’uomo.

Qui ho visto un’altro volto della chiesa e ho capito davvero l’importanza dell’opera dei tanti parroci che scelgono di vivere in questi posti, ad iniziare dalla formazione professionale, scolastica, dalla forza aggregante come centro di vero scambio culturale e appoggio sicuro per quanti si trovano ogni giorno in mezzo alla strada per inventare una vita!

In questo paese vedo la crudità della realtà umana e mi rendo sempre più conto di essere tra i pochi eletti al mondo ad avere facile accesso a tanta abbondanza e benessere.

Quello che davo per scontato, l’essenziale, qui rappresenta la vera sfida giornaliera, in questo c’è una sorta di reale selezione naturale, solo i più forti, i più furbi e quelli che anno più soldi ce la fanno.

I bambini bevono, mangiano e fanno cose che per un’occidentale è difficilmente immaginabile e impensabile da affrontare, ecco la forza e la resistenza anche nel fisico di questa gente che balla in ogni occasione perche solo la musica non fa pensare.

Mentre ballo coi bambini, su ritornelli inventati, la sabbia sotto i piccoli piedi si alza veloce, le mani schioccano e le voci crescono sento quell’energia che si perpetua impressa nella terra delle origini e sono parte della speranza di questo stupendo paese!

Roberto Falconi

 

  

 

 

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