“Si può morire in tanti modi ….,
Lunedì 13 Aprile 2009 …ma la morte per fame è la più inaccettabile. E’ un modo lento, terribile: a ogni minuto si accorcia la distanza fra la vita e la morte. A un certo punto la vita e la morte sono così vicine che è difficile capire la differenza, e davvero non si sa se la madre e il bambino che giacciono sul selciato sono ancora di questo o dell’altro mondo. La morte, inesorabile viene senza rumore, non ci si accorge neppure del suo arrivo.
E tutto questo accade perché una persona non ha neanche un pugno di cibo con cui nutrirsi. In questo mondo di abbondanza c’è chi non ha diritto a quel prezioso pugno di cibo. Intorno tutti mangiano, ma quell’uomo, quella donna ne sono privi. Quel neonato che ancora nulla sa dei misteri del mondo, si sfinisce di pianto e si addormenta, senza latte di cui ha un bisogno disperato. Forse domani non avrà la forza di piangere”.
La citazione precedente è tratta dal “Banchiere dei Poveri”, libro che mi è capitato fra le mani qualche giorno dopo la lezione di Luca Alinovi e la visita alla FAO. Il passaggio precedente mi è sembrato particolarmente significativo perché riassume in poche righe due punti che quando si parla di fame del mondo mi fanno riflettere. Per prima cosa, proverei a pensare a quali sono i misteri del mondo che il neonato citato sopra non conosce. Probabilmente essi coincidono con quelli ai quali neppure gli adulti sanno dare spiegazione: perché alcune persone hanno la fortuna di nascere in paesi ricchi, dove ci si ammala per l’eccesso di cibo che si ingerisce ed altre in paesi poveri, dove si muore di fame? La FAO è una risposta che i diversi stati hanno elaborato per affrontare il problema della fame.
Quello che mi ha maggiormente colpito del funzionario della FAO, Luca Alinovi, è stata da un lato, la convinzione e la determinazione nel portare avanti le sue ricerche economiche con molteplici esperienze sul campo, dall’altro l’essere critico verso il suo lavoro e il sottolineare costantemente anche i limiti dell’organizzazione nella quale opera (dal fatto che la FAO disponga di risorse finanziarie minori di molte ONG americane che operano nell’ambito della cooperazione allo sviluppo a interventi che non riescono per la scarsa collaborazione con la gente del luogo).
Affascinante è stato rendersi conto di quale dramma sul piano personale vivono i mediatori della FAO sul luogo in cui intervengono: essi non prendono mai una posizione politica, rimangono neutrali e si trovano a contrattare anche con quelli che uccidono e che sono la causa delle ingiustizie che vedono sotto i propri occhi. Penso che ci voglia una grande forza di volontà e una grande concentrazione sull’obiettivo da raggiungere per rimanere neutrali in situazioni così difficili.
Secondariamente, sia leggendo il passaggio precedente che ascoltando la lezione di Alinovi, mi è venuto in mente che cosa potessi fare io per evitare che le persone continuino a morire di fame. Dal corso che sto frequentando e dalle letture fatte fino ad ora, mi sono resa conto che la cooperazione è un campo strano, estremamente affascinante, ma per certi versi contraddittorio. Non posso qui dimenticare la mia vena polemica e notare che se, da un lato, esistono moltissime persone che si nascondono dietro l’alibi di non esser capaci di cambiare il mondo e quindi non si impegnano in nessuna azione per cercare di migliorare la vita degli altri, dall’altro ci sono quelli che intervengono sul campo, ma più per una questione di coscienza personale (non a caso la cooperazione internazionale è il campo dei ricchi), per non sentire il rimorso di essere in una condizione privilegiata, quasi con uno spirito di affrontare i problemi che potrei definire “coloniale”, con l’atteggiamento dei maestri che insegnano la verità agli scolaretti, senza chiedergli ciò che effettivamente servirà loro per la vita futura. Per quanto mi riguarda, mi chiedo cosa posso fare e come vorrò vivere la mia esperienza africana in Angola. Per dirla con gli Esistenzialisti, il mondo cambia dalle piccole azioni individuali e mi sento di condividere il pensiero di Italo di “sfidare continuamente se stessi e di essere coerenti con le proprie idee” perché credendo fermamente in alcuni principi si riesce a raggiungere obiettivi elevati. Secondo me, solo partendo da questo presupposto, si possono poi affrontare le grandi sfide che la vita ci pone ed aiutare gli altri, siano essi di un colore di pelle differente dal nostro, poveri o ricchi, vecchi o giovani, buoni o cattivi. Secondo me, la cooperazione è prima di tutto un’azione che parte dallo sviluppo personale perché considerare l’altro come se stesso significa apprezzare prima di tutto ciò che si è e ci si stima tanto più quanto più si è coerenti con le proprie idee. Il rispetto per l’altro passa attraverso il rispetto di sé e delle propri pensieri. Cooperare con “l’altro” significa agire con lui e vivere nella realtà in cui lui è cresciuto, ascoltarlo come prezioso collaboratore, valorizzarne i lati positivi e lo spirito di iniziativa, l’intelligenza e la sua visione del mondo capace di arricchire la nostra. Solo così possiamo evitare di incorrere nelle contraddizioni che citavo sopra riguardo la concezione della cooperazione perché la battaglia contro la fame nel mondo passa anche attraverso la sfida di noi stessi.
Pamela Ventura
Pubblicato in Provincia di Macerata |