L’Africa chiama. Chi rispone?

Questo post è dedicato a chi, dell’ Africa, pensa di aver già capito tutto. A chi parte per evadere. A chi l’Africa non la capirà mai e a chi non vuole capirla perché la ritiene un pezzo di mondo di cui, tutto sommato, si può fare a meno. A chi, come me, non basterà una vita per capirla. A chi parte per realizzare, per fare, per cambiare il mondo. La prima cosa che ho imparato dopo aver mosso i miei primi passi in questa terra è che si tratti di grandi o microprogetti, l’Africa è prima di tutto “scuola di vita”. La seconda è che per apprezzare l’Africa si deve uscire dagli schemi della propria cultura, della propria educazione. Spogliarsi di un po’ di se stessi (ma non nella stagione delle piogge perché fa piuttosto freddino..). Superare i nostri pregiudizi. La terza è che avere la possibilità di venire in Africa non è un sacrificio ma un privilegio. “Dove vai quest’estate?” “Vado in Etiopia con LumbeLumbe” e parte subito lo sguardo di pietà o di ammirazione “poraccia questa come sta messa che se ne va in Africa in mezzo alla povertà” oppure “che coraggio, ti stimo!”. Qua non si tratta di coraggio né di stima. Si tratta di capire che la questione africana è “roba nostra”. Che la questione sociale ha ormai una dimensione globale. L’Africa ti interroga ogni secondo dal momento del tuo arrivo. Ripensi a quanto siano davvero necessarie tutte le cianfrusaglie che riempiono le nostre case e spesso le nostre vite e non lasciano spazio ad altro. A quei sogni che hai dovuto togliere dal cassetto perché non ci stavano più, per fare più spazio alle cose. Ripensi al fatto che per te esce acqua dal rubinetto ogni mattina per tutte le volte che vuoi. Pulita, calda, frizzante, molto frizzante, leggermente frizzante, con poco sodio … . Pensi alla classica domanda di tua madre “cosa vuoi mangiare oggi pasta, carne o pesce?” “Sushi o indiano?”. Pensi a come un solo foglio e una matita possono cambiare la giornata di un bambino. La verità è che davanti a questi bambini, davanti ai loro occhi grandi e scuri, davanti ai loro sorrisi, ti senti subito in debito. Vi avverto: è qualcosa che non ti levi più di dosso. Da quel momento in poi non puoi più fingere o ignorare che questa parte di mondo non esista. Pensi a come è ridotta la nostra scuola pubblica, a come sono ridotte le nostre aule e allo scarso rispetto che abbiamo oggi verso l’istruzione e la cultura nel nostro paese. Dove crediamo di stare talmente bene che abbiamo pensato che essere belli come i vip da copertina sia più importante di formare le future generazioni. Perché oggi bisogna essere belli anche per fare politica. A come tutto è una passerella continua. Senza curarci del fatto che i nostri ragazzi sono ridotti ad automi che non comunicano, con cuffiette e smartphone sempre addosso. In Africa, prima ti meravigli e poi ti vergogni per come, anche in un’aula senza vetri alle finestre, spoglia e fatta di poco. Fatta di niente. Si senta l’odore fortissimo del rispetto per il “sapere” per l’imparare. E quando suona la campanella i bambini africani prima di uscire dall’aula ti abbracciano, ti baciano e ti dicono “See you tomorrow teacher!” E se ne vanno a casa con un sorriso.
Ambra, Etiopia 2013