Archivio del 2008

Giallo Canarino

Giovedì 4 Settembre 2008

 

Finalmente abbiamo avviato un nostro microintervento in loco, ovvero la ristrutturazione di un piccolo reparto di ostetricia presso il complesso delle suore Teresiane. Stamattina con  pennello alla mano, qualche secchio di vernice, grembiuli e tutto quanto serve per un lavoro di questo genere siamo partiti dal nostro alloggio temporaneo e abbiamo tagliato il nastro dei lavori.

Primo obiettivo: pitturare la sala parto e l’anticamera adiacente con annessa “rattoppata” del pavimento in cemento. Secondo obiettivo: pulizia, con tanta voglia e davvero poche mezzi, delle due stanze. Terzo obiettivo: rinfasciare i materassi già esistenti con nuove lenzuola e traverse di plastica e acquistare 2 lettini da parto.

Facendo un resoconto della giornata per ora siamo riusciti metterne in pratica solo i primi due. La pulizia è andata abbastanza bene anche se la scarsità dei mezzi ci ha permesso di rimanere piuttosto in superficie. Per quanto riguarda la pittura i nostri pittori ufficiali Josè e Renato, coadiuvati da Annalisa, Barbara, Alba, Siria e Cristina, hanno dato luce ad un audace giallo canarino che tutto sommato nel contesto non stava affatto male. Eravamo un po’ perplessi dalla reazione delle suore. Ma quando hanno visitato le stanze completamente rimesse a nuovo, il loro sorriso e qualche piccola affermazione dal sapore fortemente positivo ci hanno fatto comprendere che il colore era davvero gradevole. “C’est jolie!, ha esclamato la madre superiora. Il suo commento ci ha fatto tirare il famoso respiro di sollievo e ci ha fatto comprendere che oggi, in questo piccolo sperduto  angolo di mondo, abbiamo fatto qualcosa di utile.

Barbara del Fallo


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Maternité

Giovedì 4 Settembre 2008

Finalmente siamo riusciti a dare un indirizzo concreto a questo viaggio, che finora era stato improntato più che altro sull’osservazione. Ieri, visitando una fatiscente struttura ospedaliera che aiuta almeno 50 donne al mese a partorire, ci siamo resi conto che con una piccola contribuzione da parte di tutti potevamo aiutare a migliorare le condizioni igieniche di questa "maternité", come la chiamano qui. Cristina è ostetrica, quindi è stata capace di individuare non solo quello che mancava ma anche i concreti pericoli di infezione che le donne hanno. Infatti i lettini dove le donne partoriscono non sono molto igienici perché sono sporchi e rovinati. Sarà necessario quindi comprare materassini per i letti, lenzuola, disinfettanti, zanzariere per le finestre, materiale ospedaliero vario, cemento per ristrutturare il pavimento. Inoltre daremo una mano di vernice alla sala parto per migliorarne l’accoglienza. Una suora del posto ci aiuterà a comprare le cose grazie alla sua conoscenza del mercato locale e dei venditori. I nostri compagni di viaggio Michele e Antonio sono tornati a Kinshasa in attesa di prendere l’aereo per Roma cosi’ come era stato originariamente previsto. Siamo in attesa dell’arrivo di Italo, il presidente di LumbeLumbe che ora si trova a Kinshasa. Qui le difficolta’ sono all’ordine del giorno e ormai non ci facciamo piu’ caso. Ci stiamo abituando al modo di pensare di qui. Ieri la corrente non c’era e l’automobile del convento era rotta, quindi il meccanico non ha potuto fare la riparazione. Questo ha comportato l’impossibilità di andare a prendere l’acqua per lavarsi. Per fortuna siamo riusciti a trovarne un po’ per lavarci i piatti,anche se siamo stati colti nell’operazione dal solito temporale equatoriale con pioggia a secchi e fulmini a circa 5 metri da noi. Oggi io e Barbara andiamo con Don Daniel a fare l’intervista alla televisione di Mbuji Mayi. E’ successo un fatto abbastanza sconcertante con un bambino che fa discutere sulla nostra differenza di culture che pero’ vi racconteroemo nei prossimi giorni.

 

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MBUJI MAYI, l’intervista

Giovedì 4 Settembre 2008

Oggi per il gruppo Lumbe Lumbe é stata una giornata "diplomatica". Questa mattina infatti abbiamo avuto un incontro con la radio televisione della diocesi locale di Mbuji Mayi. Ormai ci rendiamo perfettamente conto di essere divenuti famosi anche in Congo, vi avviseremo auqndo inizieremo a firmare i primi autografi! Scherzi a parte, l’incontro con un lembo di giornalismo locale e’ stato molto costruttivo ed interessante. Poche domande, brevi e concise. Chi siete? Qual è il vostro compito qui? Come vi hanno accolto le autorità locali? Quali sono le vostre prime impressioni di questo territorio? Abbiamo risposto con dovere e ‘professionalità’ a tutte le questioni ma forse un po’ di amaro ci é rimasto in bocca. Venire a sapere che l’intervistatore e il suo cameraman avevano percorso qualche km a piedi per intervistarci e soprattutto conmezzi assai casalinghi a loro disposizione ci ha un po’ turbati. Nicolai, il giornalista, appuntava le nostre risposte su un misero pezzo di carta bianca, mentre il suo cameraman con una telecamera non certo di ultima generazione riprendeva, senza preoccuparsi dei rumori di sottofondo; il breve colloquio. Le nostre risposte sono state abbastanza discrete. Abbiamo cercato di spiegare loro con non poca difficoltà chi eravamo e cosa stavamo facendo aui. Le autorità locali, abbiamo detto loro, ci hanno accolto con estrema gratitudine. Tuttavia, abbiamo azzardato, se riuscissero ad uscire dal giro di una corruzione ormai troppo radicata non sarebbe male. Il timore di aver espresso auesta opinione ci ha un po’ turbati per il seguito della giornata. Ma l’orgoglio di aver detto qualcosa di verro, tangibile ha ben presto offuscato auel piccolo senso di preoccupazione iniziale. ‘Dopotutto ci hanno inviato o no qui per un’opera di monitoraggio del territorio?’ Ci siamo detti. Corruzione, degrado sociale, anarchia, poverta’, miseria, questo é il nostro Congo. E non proviamo nessun tipo di remora nel descriverlo in tutta la sua autenticita’

Il gruppo del Congo

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Mbinzo

Giovedì 4 Settembre 2008

A Luanda, nella Visitatoria dei Missionari Salesiani, la notte passa con un po’ di insonnia. Un incontro con Padre Marcelo Ciavatti per esaminare la possibilità di impiegare apicoltori argentini a Cangumbe nel progetto la Casa delle Api. A seguire con Stefano Tollu per il progetto sportivo Intercapus. Con entrambi c’è una buona intesa che fa sperare bene sulla riuscita dei due programmi. È quasi mezzanotte ed un letto per dormire è la cosa che ci vuole.  Da qualche ora ho lasciato i ragazzi di Ndalatando, anche un passaggio rapido a Dondo per salutare i dondi. Una telefonata con Ersilia che ha toccato alcune corde del mio cuore che mi hanno intenerito molto. Raffaela che sta cercando di risolvere la spedizione di due fuoristrada uno in Angola ed uno in Mozambico. La stanchezza non è stata sufficiente per addormentarmi, un groviglio di pensieri ed emozioni dominate da una forte nostalgia non mi consente di dormire. È già mattino, preparo la valigia per partire alla volta del Congo dove un gruppo di ragazzi della Comunità Montana Valsangro sta  facendo una esperienza analoga  a quella che, i  ragazzi della Comunità Montana Monti Azzurri, sta facendo in Angola. Un incontro con Irmao Agostinho (economo dei Salesiani) per fare il punto della situazione sulle spedizioni dei materiali del progetto La Casa delle Api e su alcuni versamenti fatti dall’Associazione LumbeLumbe a favore dei progetti dei Salesiani. Sono le 9.30 quando il motorista del VIS, grazie a Carla,  mi accompagna in aeroporto.

La solita lunga interminabile attesa e poi si entra. Questa volta è stato molto semplice, non sono stato sottoposto ad estenuanti controlli. Alle 14 circa l’aereo decolla per Kinshasa dove arriviamo alle 15. Sono atteso da un amico di Don Daniel. Anche qui è tutto molto semplice, dopo aver preso il bagaglio mi accompagnano fuori dove c’è un seminarista,  del Seminario Maggiore di  Saint Kaggwa, che  mi prende in consegna come fosse il mio angelo custode ed insieme prediamo la macchina  con autista per raggiungere il seminario.

La strada che esce dall’aeroporto di Kinshasa è molto bella e scorrevole a differenza di quella di Luanda con ingarraffamenti inimmaginabili. Una cosa in comune però c’è. Ai bordi della strada e sui marciapiedi un numero indefinibile di persone, immerse nella polvere e nel fumo di chi cucina. Tutti comprano o vendono qualcosa è difficile fare un distinzione. La loro missione è quella di fare in modo che la sera a casa ci sia qualcosa da mangiare.

Poi arriviamo al Seminario non dopo aver assaporato gli sbalzi dell’autovettura su una strada in terra che porta al cancello di ingresso. Anche sulle autovetture c’è differenza tra Luanda e Kinshasa. A Luanda camminano quasi esclusivamente fuoristrada anche molto lussuosi, a Kinshasa ho potuto vedere molte autovetture “normali” per noi europei anche se sgangherate. Ho notato molte auto che avevano finito la loro funzione di mezzi di trasporto ed erano spinte. In una, in prossimità di una rotonda, tra le perone che spingevano c’era anche il poliziotto in servizio in quella strada.

Il Seminario recintato da un muro di più di due metri, diversi ettari di prato pianeggiante con pochi edifici essenziali destinati ad aule scolastiche, luoghi di preghiera e logistica. Sul prato mucche e pecore nere al pascolo, una ventina. Nelle zona est e sud, ai bordi, orti per la coltivazione di verdura e Manioca. In un angolo verso ovest un piccolo cimitero. Diverse piante tipiche africane sparse qua e là. Non pensate però ad un prato verdeggiante all’inglese.  Erba secca e molta polvere.

Mi accompagnano in camera dove noto subito un inginocchiatoio.

Dopo un po’ il seminarista mi porta un televisore. Sicuramente sta eseguendo un ordine di Don Daniel e vuole farlo con molto scrupolo. Rifiuto, non mi sento proprio di mettermi a guardare la televisione. Avverto un po’ di disagio da parte del ragazzo e cerco di alleviarglielo ripetendo più volte merci, merci….

Mi accompagna a vedere la mensa dove si mangerà. Bevo un bel bicchiere d’acqua ne avevo proprio bisogno.

Torno in camera, alle 6 va via la luce. Non è la prima volta che succede. Mi è venuto di pensare che dove l’energia viene fornita solo dal generatore si sa quando la luce va via, perché il generatore, per economizzare, funziona solo in alcune fasce orarie. Subito dopo arriva il seminarista con una candela ed  i cerini. Sono le sette e dopo un breve riposino vado a cena. C’è solo un ragazzo che sta preparando i pasti e sistemando la tavola. Tutto alla luce di candele. Dopo un po’ arrivano altre due persone. Cerchiamo di comunicare e, nonostante le diverse lingue, ci riusciamo. Mangio riso dove ho messo anche  vegetali in brodo ed  un pezzo di pollo. La mia attenzione si è soffermata su un contenitore dove c’era un alimento mai visto e molto invitante. Un impasto denso, ma non troppo, di colore nocciola dal quale spuntavano pezzi di qualcosa tra il marrone ed il nero il tutto emanava un aroma molto gradevole. Ho chiesto cosa fosse ed ho “capito” che si trattava i funghi (champignon) e pasta di noccioline (cinguba) e mbinzo in lingua Lingala la cui traduzione, per me, era pesce. Ne ho preso un po’ ed ho iniziato a mangiare. Molto gustoso e saporito, vado matto sia per le noccioline che per i funghi, alcuni dei quali però avevano una consistenza maggiore, addirittura scrocchiavano. È con questo pensiero che è tornata la luce ed è arrivato anche Don Giampiero Kikunda, un sacerdote Congolese che vive a Chiusi in Italia e studia teologia a Firenze. In poche parole parla molto bene l’Italiano. Dopo i saluti abbiamo cominciato a parlare di varie cose. Gli ho anche chiesto conferma sui componenti del piatto che stavo mangiando. Ha ripetuto: champignon, cinguba ed ha aggiunto mbinzo. Cos’è chiedo? È un animaletto che sta sotto le foglie e striscia anche per terra….. un tipo commestibile di verme …a me così non piace, dice ancora, lo preferisco arrosto, cotto sulla brace. Non so se riuscirò a mangiare ancora questa cosa ma vi assicuro che, alla luce delle candele, e con un po’ di fame accumulata, non avevo pranzato, era veramente buono.

Alle 9 riesco a trovare una postazione internet dalla quale ricevo le testimonianze dei ragazzi di Valsangro che stanno nel Mbuji Mayi. Mi fanno sentire molto forte i desiderio di essere li con loro, stanno vivendo una esperienza esaltante e molto ricca di emozioni ed io potrò raggiungerli solo sabato, le suore non sono riuscite a trovarmi un volo prima. Torno a letto e le nostalgie questa volta si addormentano con me.

Italo Governatori

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Tre pagine del diario di Barbara

Mercoledì 27 Agosto 2008

 

24 agosto 2008
QEA, questa è l’Africa.
Dopo circa 5 ore di "africana" attesa all’aereoporto di
Kinshasa, siamo atterrati in tarda serata a Mbuji Mayi. Una festosa e calorosa accoglienza ha inaugurato il nostro arrivo in questo immenso villaggio della regione congolese del Kasai. Dopo un breve e formale incontro con "le gouverneur" (vale a dire il presidente della regione), ad accoglierci il vescovo Monsignor Bernard Kasanda. Un piatto di riso con verdure, accompagnato da succulenti banane fritte, hanno riempito i nostri stomaci vuoti da circa ventiquattro ore. A notte fonda siamo arrivati al seminario regionale S. Francois Savier. Abbiamo avuto qualche problema con il buio pesto che ci ha impedito di accomodarci al meglio nelle stanze, di riconoscere le nostre valigie e persino di riconoscerci l’un con l’altro. Dopo tanta fatica ci siamo infilati sotto le imperdibili zanzariere e un’altra notte congolese è scivolata via. Qui il tempo sembra scorrere davvero in fretta per noi occidentali. Ma nonostante la nostra ansia provata nel perdere del tempo per noi prezioso, ci accorgiamo giorno dopo giorno che questa è l’Africa. A volte abbiamo una percezione quasi frustrante. Quella di non poter far nulla per un popolo abbandonato a sé stesso, un popolo solo ma che cova in sé la voglia di tendere la mano verso l’altro e di chiedere aiuto. D’altra parte noi siamo venuti qui semplicemente "per portare un sorriso". Questo è il nostro slogan, in questi giorni ce lo stiamo ripetendo spesso. Vuoi per l’importanza del messaggio che porta con sé, vuoi per incrementare quello spirito passionale che ci ha condotto fin qui, vuoi soprattutto per non mentire a noi stessi.


25 Agosto 2008
Mbuji Mayi, il canto della domenica
anche qui è domenica… e la domenica è un giorno speciale, un giorno di riposo e allo stesso tempo di incontro e condivisione. A Mbuji Mayi, come in qualsiasi altra parte del mondo, la domenica alle ore undici si va a messa. La nostra parrocchia dista dal seminario in cui alloggiamo circa 500 metri. Accompagnati dal nostro "capo carismatico" Don Daniel, ignari di quello che ci stava per accadere, ci siamo avviati verso la chiesa. Sono bastati appena due passi fuori dal seminario per essere completamente assaliti da una folla di bambini di tutte le età. Festosi, allegri, felici, sorridenti ci hanno preso per mano senza preoccuparsi minimamente di dove li stessimo portando. Animati da una fiducia sorprendente nei nostri confronti e da una strepitosa voglia di essere coinvolti in quella nostra "sconosciuta" passeggiata che ci ha accompagnato fino alla porta della chiesa. Non contenti di una camminata nel mezzo di una natura che forse conoscono troppo bene, hanno varcato con noi la soglia della chiesa e hanno assistito con invidiabile compostezza alla celebrazione domenicale. Due ore e mezzo di canti, balli, momenti di condivisione. Anche noi abbiamo avuto il nostro attimo di celebrità. Dopo una breve presentazione del gruppo da parte del parroco locale, un coro composto da circa cinquanta ragazzi di ogni età ha intonato un melodico canto in nostro onore. E a giudicare dal testo e dalle movenze si trattava di una canzone di saluto e di benvenuto tra noi. Al termine del canto siamo stati di nuovo invasi da una folla di bambini che cercavano di salutarci, di darci quanto meno una mano in segno di accoglienza. E’ una di quelle scene commoventi che difficilmente si dimenticano. Un momento in cui ci si accorge che le diversità di qualsiasi genere non contano, perchè qui, in Congo, molta più attenzione e importanza sono date all’individualità di ognuno. Ognuno è diverso dall’altro ed è accettato per quello che è e per quello che ha. E allo stesso tempo ciascuno è legato all’altro in segno di aiuto, collaborazione, dialogo e tutto ciò che dovrebbe caratterizzare la vita collettiva di un popolo. Il mondo occidentale è ormai lontano anni luce da questo nobile concetto. E a noi, rappresentanti di un "modus vivendi" diverso, non ci resta che accettare con umiltà e dignità che abbiamo ancora tanto da imparare.

27 agosto 2008
Nonostante qualche problemino di intossicazione, insonnia, zanzare, ruote bucate, trasformatori bruciati dalle linee elettriche sfasate, disidratazione, pasti ridotti al minimo, mitragliatori puntati verso chi fotografava di nascosto, noi non ci arrendiamo. Anche oggi ci siamo fatti una bella sfacchinata: 10 km a piedi circondati dai soliti bambini che sembravano spuntare come funghi. Oggi le nostre tappe sono state conventi, scuole e ambulatori. Le oltre tre ore di cammino all’interno del villaggio ci hanno fatto individuare le necessita’ primarie di questo popolo. La carenza di strutture sanitarie limitate, le scuole primarie statali che nascondono delle modalita’ di accesso fortemente selettive, stride con delle vere oasi di pace che albergano nel villaggio, ovvero il convento delle suore delle clarisse e quello delle stigmatine.
Ci dispiace tanto concludere questo pezzo cosi’ bruscamente ma i minuti di connessione (peraltro lentissima) stanno per finire. Dal Congo è tutto. Vi invitiamo a mantenervi in contatto con noi nei prossimi giorni per condividere insieme questa esperienza.

Barbara del Fallo

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Le Parole non bastano

Mercoledì 27 Agosto 2008

 

Non è possibile esprimere a parole quello che si prova quando una fiumana di bambini ti travolge e ti fa festa mentre passeggi per questi sentieri di terra rossa. Per loro noi siamo una novità, i bianchi non vengono molto qui a Mbuji Mayi. All’inizio ce n’é uno solo, poi diventano due, poi dieci e alla fine non riesci più a contarli, spuntano da ogni cespuglio, li vedi arrivare correndo da lontano. Le loro urla gioiose fanno un tale frastuono che per parlare con i miei colleghi devo alzare la voce, e per questo ora l’ho persa quasi completamente. Se dici una parola la ripetono all’infinito con incredibile precisione. "English!" ci gridano, credono che siamo delle Nazioni Unite. Al sentirli parlare ho persino imparato qualche parola di chiluba, il dialetto locale: "Moio", mi salutano, che significa come va?. La maggior parte dei bambini sono vestiti di stracci o di abiti riciclati, quasi nessuno porta le scarpe, alcuni si portano dietro a tracolla il fratellino o la sorellina minore. Solo alcuni tra essi avranno la possibilità di accedere ad un’istruzione superiore, mi dice Simon, il seminarista che ci accompagna. Ieri è piovuto, il primo terribile temporale della stagione delle piogge, e subito qualcuno si è affrettato a seminare la terra rossa, incredibilmente fertile. Passiamo per case che sono capanne. Le famiglie sono fuori, sedute a non fare niente. Qualcuno ci chiede denaro. Tutti vogliono farsi fotografare. Non faccio in tempo a puntare l’obiettivo da una parte che subito i bambini mi si parano davanti. I colori di questa stagione delle piogge sono meravigliosi, i vestiti sgargianti delle donne, la terra rossa, le capanne rosse o azzurre sono un piacere per gli occhi. La gente di questo posto sembra avere un dono particolare per farsi fotografare: riesce sempre ad assumere la posa giusta.

Siamo andati a visitare una fabbrica di tessuti dall’altro lato della città. Una fabbrica poverissima, come lo è tutto qui. Però ci hanno accolto una quindicina di mama (cioè donne sposate) vestiti in abiti sgargianti che ci hanno fatto un bellissimo canto africano. Per la cronaca: qua anche il più sfigato che incontri per la strada riesce a cantare benissimo e possiede un senso del ritmo perfetto, la messa è qualcosa di favoloso con quei cori e quei tamburi. Poi ci hanno portato delle sedie per riposare nel cortile e subito una ventina di ragazzi ci hanno circondati ponendoci in francese ogni sorta di domande, uno mi ha chiesto perchè non avevamo portato delle videocassette che mostrassero com’è la vita in Italia, un altro se i film rappresentano davvero l’occidente. Poi è arrivato un giornalista con un taccuino striminzito e una matita che ci ha chiesto chi eravamo, che ci facevamo lì e si è preso il nome della nostra associazione per scrivere sul giornale locale. Nel complesso mi sono fatto quattro ore di piacevolissima conversazione in francese. Non posso fare a meno di notare la semplicità di questa gente, il loro calore, la loro gentilezza. Credo che sia un popolo straordinario. Quando vedo tutti quei bambini senza futuro penso che ognuno di essi abbia un potenziale intellettuale immenso che non verrà mai sfruttato, un esercito di cervelli che invece di salvare il Congo e renderlo un paradiso in terra se ne andrà alla deriva.

Tutto è precario qui. Tutto va alla deriva. Tutto sembra funzionare per miracolo e pensi che al minimo soffio di vento si sfascerà. Ogni cosa è difficile, dai trasporti al mangiare, dal procurarsi l’acqua a illuminarsi. Devi stare attento alla malaria, ma anche alla malavita giovanile, alla gente disperata che non sa se oggi mangerà o no. Viaggiamo inscatolati come sardine in fuoristrada sgangherati e ogni buca della strada è uno stress per il nostro corpo. Ci sono momenti che la macchina sembra doversi cappottare e solo una mano divina la tiene in baricentro. Abbiamo visitato una centrale idroelettrica abbastanza sgangherata e siamo tornati dal viaggio a pezzi. Siamo andati alla casa del vescovo per collegarci a internet ma qualcuno si è sentito male e siamo dovuti andare via, peccato però che il fuoristrada avesse bucato e ci abbiamo messo due ore a cambiare la ruota. Ci siamo fermati a prendere dell’acqua e a fare benzina: il solito buio, stavolta rischiarato dai lumini e dalle candele e da qualche vetrina illuminata. Quando ci vedono urlano nel loro chiluba che cosa ci fate qui? e almeno cinque persone si avvicinano a chiedere soldi. Io mi sono sentito male nella notte, una diarrea fulminante e non so cosa mi ha fatto male. Qualcuno, tra le mille difficoltà, dice che questo paese non ce la farà mai, che nulla qui potrà mai cambiare. Io non ci credo. Tutti quei bambini, se educati, possono fare miracoli. Vorrei insegnare ad ognuno di loro che è un essere umano, che ha la stessa dignità che ho io, gli stessi diritti, così sarebbero loro stessi a distruggere la corruzione e a fare del Congo la nazione leader dell’Africa.
Di solito la sera il cielo è limpido. Due sere siamo rimasti a suonare la chitarra e a parlare. E’ stato meraviglioso, mi mancava. Ho dei compagni di viaggio davvero in gamba. Ognuno di essi ha una qualità particolare che spicca e che è utile al gruppo. Anche i seminaristi sono in gamba. Ho fatto amicizia con Simon. Mi ha raccontato di donne che partoriscono i loro bambini nella tazza del water e li lasciano lì morti. L’ultima che lo ha fatto ha dichiarato alla polizia che non sapeva di stare partorendo. Nei mercatini si vendono bare per bambini. E’ una delle cose più raccapriccianti. Del resto gli stessi bambini che ci fanno la festa ogni volta sono sporchi, denutriti, hanno malattie della pelle. Siamo andati a vedere una piccola clinica sgangherata dove fanno partorire i bambini. C’era una donna che aveva partorito due gemelli e li allattava entrambi contemporaneamente. Aveva 32 anni ma ne dimostrava 60.

Vincenzo Simone

 

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Un film da non rivedere

Domenica 24 Agosto 2008

Da Lwena per recarsi a Luanda ci sono due possibilità. Ammesso che si disponga di un auto, … occorrono circa ventisette ore di viaggio, di una buona resistenza fisica per attraversare strade sterrate.

L’altra opportunità  è quella rappresentata dal film che esce dalla mia fantasia. Dall’aereoporto di  lwena parte un aereo al giorno. Ci si sveglia alle 5.00 per l’aereo delle 7.00 che in realtà partirà solo alle 15.30 del pomeriggio, dopo aver tentato di prendere quello delle 11.30 per il quale hanno cambiato la meta o forse non lo si è ben capito, a causa della lingua o di altri bisogni urgenti di cui parla il capitano…

Finalmente delle persone stanno per salire sul piccolo aereo, dopo aver guardato in alto il cielo di Lwena, azzurro, limpido che ha visto  tante e tante battaglie di cui resta ancora una zona minata intorno all’aereoporto. Una città  a cui si dice “grazie” per l’umanità conosciuta diversa dall’abitudine e dalla comodità, abituata alla calma della riflessione e la natura rigogliosa e combattiva, anch’essa permette agli uomini di sopravvivere.

Nel primo tempo, un ragazzo in attesa di un elicottero, guarda incuriosito due di pelle bianca, pensando che il telefono cellulare che hanno in mano vale quanto uno stipendio mensile in Angola.. e dice:

“ Qui’ a Lwena ci sono diamanti e petrolio, ma non ci sono soldi. Tutte le materie prime allora vengono vendute fuori, ad altri paesi.

Lwena non ha acqua ne’ luce..guarda quest’asfalto.. qui’ e’ tutto da rifare. Stiamo in pace? Questa non e’ pace.

E con questa domanda inquietante, che rimbomba nella testa di uno dei due bianchi  ed oggi anche nei loro cuori, di cui una parte resta li’ su quell’asfalto, si consegnano i pseudo biglietti di riconoscimento al tecnico tecnico e di cui a noi non resta alcuna traccia. 

A passo svelto ci si affretta verso la coda dell’aereo cercando in pochi secondi il posto più comodo, perché non ci sono sedili.. la precedenza per salire l’hano avuta un militare ed un altro uomo.

Il primo, giovane, è seduto su un borsone, immobile, con una garza su un lato del volto gonfia il doppio; l’altro più maturo, seduto per terra per alleggerire il peso della sofferenza, con lacrime che scendono da occhi neri terrorizzati, sorretto dietro la schiena da un fratello o figlio che lo accompagnerà nella capitale, unica possibilità di cura.

Ci si sistema sulle valigie per cercare di non farlo direttamente a terra..improvvisamente un maglione nello zainetto diventa cuscino per non sentire di volare in modo insolito, in cui familiari e conoscenti, se il volo non arrivasse a destinazione, direbbe “chi te lo ha fatto fare?”

Un uomo prega, un altro scatta una foto.. tutto normale i viaggi sono fatti di aspetti belli e brutti.. l’inizio è sconcertato e carico di speranza che andrà tutto bene..e tutti arriveranno a Luanda.. a che ora?..il caldo fa sembrare che sia già passata un’ora..in realtà si stanno riscaldando i motori, e si decolla finalmente.. l’aria è irrespirabile e un uomo esperto dice che ad alta quota dovrebbe essere più fresca in realtà,  perché ciò non accade? forse è la paura? paura di fare un viaggio insolito.. sfortunato per gli occidentali, non c’è né bagno, né colazione a bordo.. né cinture di sicurezza.. né sicurezza che il proprio nome risulti quello di un “passeggero”. Volo di fortuna per gli angolani, che solo una piccola parte, con quanza o dollari in più, sono in grado di permettersi per spostarsi e muovere le linee senza garanzie del commercio..

Bambini sudati che, quando per alcuni attimi smettono di giocare, si accorgono  di una sessantina di persone intorno, dentro una lamiera bianca che non è casa per nessuno dei “passeggeri”, nella quale si mischiano odori di ogni tipo..

..tra le voci in portoghese si sente il nome Saurimo..è la città in cui si sta per fare lo scalo..finalmente il primo atterraggio è fatto..si spera di ripartire al più presto, forse bisogna fare rifornimento. Improvvisamente la coda si apre  ed improvvisamente il tecnico la fa richiudere lasciando solo un po’ d’apertura, quel minimo per respirare, per far capire che fuori c’è ancora la terra..che forse si potrebbe scendere li..e poi? come si andrebbe a Luanda?..meglio restare, si dovrebbe ripartire…e passano quaranta minuti interminabili. Ognuno cerca espedienti per non soffocare. C’e’ chi muove un po’ d’aria con un volantino di cartone duro di una associazione di volontariato portoghese (?), che molti guardano e forse vorrebbero per sé..passano altri quindici minuti, salgono altre persone forse dieci..no!  quaranta circa.. con le scatole e bagagli sulla testa cercano di crearsi il loro posto per il viaggio tanto atteso.. e chi è già in volo cerca di risparmiare il proprio..sguardi di rabbia..d’incertezza..di impossibilità di chiedere a qualcuno perché bisogna ridursi a stare in sardine in scatole?..di impossibilità di critica, perché forse una sana critica sarebbe quella di pensare che senza quel volo..verrebbe speso lo stesso carburante ed un centinaio al giorno di persone resterebbe bloccato nella propria attività di autoconsumo.. e non potrebbe raggiungere quell’ospedale più importante..

 

 

 

Il film potrebbe terminare qui man  come nella maggior parte dei film..inizia il secondo tempo.

 

 

 

..un uomo anziano, con grandi cicatrici sul volto, che forse sono i segni di una storia che ha distrutto case e diritti umani, raggiunge forse per la prima volta la capitale e nei momenti peggiori in cui il sudore rende lucida la sua pelle, resta ad occhi chiusi pensando forse che la sua vita, da una vita, ogni giorno è stato incerto..ma è arrivato a quell’età..

..i minuti passano e l’unico modo per cercare di non pensare per i passeggeri è quello di guardare: occhi profondi neri e tristi degli uomini, occhi pensanti dei più anziani, occhi di donne con luce di speranza, occhi di bambini incuriositi e i propri occhi a volte socchiusi, a ricordare immagini del proprio amore che in quel momento non può immaginare quant’è brutto averlo lontano..

 

.. lo stomaco si stringe, pensando di non avere forse motivi per fare un viaggio del genere, che forse nessuno impone, ma una volta scoperta questa possibilità vale la pena correre il rischio.. dopo essersi sentiti fortunati nel poter masticare una gomma tutto il tempo, quasi per ricordarsi che si è in vita..ecco finalmente dall’alto le luci di Luanda.. l’atterraggio..dopo cinque ore..il film sta per finire.. per un secondo tutti ringraziano tutti..

Il film termina e per fortuna io sono con i piedi a terra.. in una casa di irmas..ed in futuro sceglierò forse di percorrere la strada sterrata con le buche..il film mi ha fatto paura.. mi mancano i miei cari ma stasera manderò loro un sms per dire che sto bene e non far trasparire dalla voce che il film forse non vorrò rivederlo.

Mariangela Capuzzi 

 

..finalmente si decolla di nuovo, stavolta l’atterraggio sarà quello della fortuna?..intanto dai pochi oblò si percepisce che oramai è notte.. e sale la paura che qualcosa non funzioni e ci possa far apparire dal basso una stella cadente non identificata.. l’aria oramai satura di odore di pelli diverse, voci diverse, conversazioni tra conoscenti di fortuna, pollo e patatine che, quasi increduli, mangiano alcuni e il soldato ancora immobile e l’uomo che oramai sembra aver raggiunto l’apice del dolore, dopo il quale non può esserci cosa peggiore, perchè se si atterra, si arriva in ospedale, se si muore in volo, si smetterà di soffrire.. ed una donna bianca, l’unica che per gli occidentali in quel momento rappresenterebbe la più sfortunata, si dice : “ se stanno sopportando il viaggio due feriti, io che sono in buono stato di salute, senza malattie, vaccini.. non ho nemmeno il diritto di lamentarmi, né il diritto di bere timidamente dalla mia bottiglietta di acqua, oramai calda, che tanti altri occhi profondi neri, considererebbero oro|!”

 

(scalo nella città) Saurimo..città da cui salgono altre persone disperate e piene di speranza allo stesso tempo, ed uno sciame di mosche che inseguono i pacchi di carne secca portate sulla testa.. maledette anche loro!.. non si pensa di viaggiare in aereo con una mosca! ..sarà anche per loro il viaggio della speranza inseguendo quella carne secca? o il viaggio della disperazione perche schiacciate da due mani?..

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Enuvé? A sim tabaté

Domenica 24 Agosto 2008

   

Enuvé? A sim tabaté. Simone ha imparato subito quest’espressione in dialetto portoghese (come stai? Sto bene) e quando con l’allegria e l’aria scanzonata che lo caratterizzano decide di urlarla come un "do di petto", suscita sempre sorpresa, ilarità ed allegria nelle persone e nei bambini che costantemente ci satellitano intorno da che siamo a Dondo. Qui di bambini ne abbiamo incontrati a centinaia andando nei vari villaggi e nei bairros della città a fare oratorio insieme agli animatori, spesso in situazioni difficili da descrivere. Valentina riesce sempre a tenerne qualcuno in braccio e tanti, tanti intorno, buoni, ad ascoltare ed osservare attenti ciò che la sua fantasia riesce a creare per intrattenerli. Sono lì, incantati, immagino immersi nella dolcezza del suo sorriso. Angelica é ormai la "trenadora de football". "Angelica", ma grintosa. Quando siamo in sede gli allenatori di calcio femminile la vengono a cercare spesso per imparare un po’ di tecnica in questo gioco di squadra che qui praticano in maniera estremamente individualista. Ogni sera abbiamo un momento per noi, per scambiarci sensazioni, comunicarci emozioni, manifestare qualcuno di quei tanti, troppi dubbi suscitati dalle assurde contraddizioni che balzano agli occhi e che sembrano caratterizzare la vita di questo popolo in questo luogo ed in questo tempo. Accompagamo i catechisti nella loro attività missionaria in villaggi sperduti, a ore di barca sul fiume o immersi nella foresta, cellule di insediamento umano in una natura selvaggia e rigogliosa. Li raggiungiamo con un carro che non si capisce dove trovi la strada tra banani, palme e baobab, sussultando su buche che ci danno la sensazione di essere sbalzati fuori. Nei nostri spostamenti l’atmosfera è sempre da documentario, ci sorprende e ci entusiasma ciò che vediamo, ma la sorpresa più grande é sempre all’arrivo. Nelle aldeias sperdute, alcune case di terra rossa con il tetto di paglia o di lamiera di ferro ci stupiscono per la presenza di una parabola e della televisione, in stridente contrasto con il fuoco acceso per terra, dove le donne preparano il fungi (una specie di polenta collosa ottenuta con farina di mandioca e acqua) o i fagioli o il pesce pescato nel rio dove ci si lava e ci si procura l’acqua per bere e cucinare. Piùn volte ci siamo seduti sulle sponde ad osservare emozionati e curiosi le loro attività, circondati sempre da bambini altrettanto incuriositi dalla nostra presenza e dal nostro aspetto. Diego e Simone riescono sempre a far ridere i bambini facendo i giocolieri con tre sassi: sono il nostro salvavita quando i piccoli diventano talmente tanti da essere ingestibili. Emanuele, non abbiamo ancora capito come, con poche parole di portoghese riesce a fare lunghi discorsi com tutti, ottiene l’attenzione dei bambini senza mai alzare la voce. Lo chiamano pae Emanuel, Padre Emanuele. Si diverte e li fa divertire con la matematica. Emanuele è studente in medicina e non ci sta raccontando niente della sua esperienza di volontariato al centro medico, ma Caterina, la volontaria che é a Dondo da un anno, ci ha detto che il suo arrivo qui é stato provvidenziale per l’unica suora che porta avanti il centro medico. Alessandro sta dipingendo un murales nel cortile dell’oratorio; lascerà qui la sua impronta, qualcosa di sè che lo farà ricordare. Abbiamo rubato la sua idea e tutti insieme abbiamo riprodotto su un altro pezzo di muro una cartina dell’Africa e una dell’Angola: un sussidio didattico alla portata di tutti i bambini che vengono a giocare qui e che ormai ci cercano chiamandoci per nome, saltandoci addosso e facendoci tornare tanto bambini come loro. Condividere l’esperienza qui in Angola con questi ragazzi che mi sono stati affidati dall’associazione Lumbelumbe è, per me, un ulteriore conferma che nei giovani c’è tanta voglia di dare, c’è quella forte fame e sete di giustizia per la quale Gesù  ci chiama "beati". Adesso, pensare che questo tempo condiviso con loro sta per finire mi rattrista e la nostalgia comincia ad irrompere prepotente, insinuandosi sottile tra le tante emozioni che in questi giorni hanno la meglio sulla solita, rassicurante e routinaria quotidianità. Certamente, tra i tanti doni ricevuti da quest’esperienza, il ricordo di Alessandro, Angelica, Diego, Emanuele, Simone e Valentina sarà, nella mia vita, un sorriso che affiora dall’anima.

E la nostalgia lascerà il posto alla gioia di averli incontrati.

Giovanna Coccioli

  

 

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Elimo Santu

Sabato 23 Agosto 2008

 

 

 


 

Noi siamo la coda, loro sono la testa. Bisogna scalare, raggiungere la testa affinché le cose possano cambiare un po’”, ci dice Cedrick, seminarista al terzo anno del Grand Seminare de Philosophie Saint Kaggua di Kinshasa.

30 minuti di conversazione inaugurati da un’iniziale e comprensibile diffidenza, alleggerita da una piacevole tazza di caffè e poi sfociata in un tono amichevole e profondo. Accompagnati da un colorato tramonto africano, ci siamo seduti attorno ad un tavolo e finalmente, dopo tante tensioni siamo riusciti a rompere il ghiaccio. Quel gelo che, fino a questa sera, ci aveva impedito, un po’ per timore e un po’ per timidezza, di interagire con chi in questa incantevole terra ci vive. Con chi ogni giorno lotta contro la miseria, si fa testimone di una povertà estrema e allo stesso tempo cerca con tutta la propria anima di condividerla per poi combatterla.

Lo abbiamo tempestato di domande (povero Cedrick! ). La nostra lunga conversazione ha toccato innumerevoli e forse scontati argomenti. L’istruzione, la sanità, la politica, la religione e tutto ciò che in circa 30 minuti ci è passato per la testa. Fino a qui scontate le domande e prevedibili le risposte. Dopo questo botta e risposta a tratti molto formale le nostre argomentazioni si sono ad un tratto trasformate. Con molta probabilità ci siamo accorti, insieme a Cedrick, di essere accomunati da argomenti molto “diversi” rispetto a quelli che si definiscono di routine. Ed è stato proprio questo il momento in cui abbiamo capito che i nostri occhi guardavano le stesse cose, che le nostre orecchie udivano i medesimi suoni, che le nostre voci (a prescindere dal nostro francese un po’ più casalingo!) pronunciavano esattamente le stesse frasi. Un profondo senso di fratellanza, di comunione, di condivisione è calato su un piccolo pezzo di cielo di Kinshasa questa sera. Siamo fieri di essere stati protagonisti di questo straordinario evento.

Qualche minuto fa abbiamo compreso quanto sia importante avere il privilegio di appartenere alla coda e non alla testa!

Barbara del Fallo

 

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Vous etes venu ici a faire quoi?

Sabato 23 Agosto 2008

 
  

Ore 14:12, questa è la prima frase che ci siamo sentiti dire appena arrivati a Kinshasa: che cosa siete venuti a fare qui?

"Ad aiutare i bambini", risponde Don Daniel

"E come potete aiutare i bambini se vi portate dietro chi non ha l’età per farlo?", dice il funzionario della dogana indicando Siria, Annalisa e Barbara.

"Sono grandi", risponde Don Daniel, "sono felici di essere qui ad aiutarvi. E voi come li accogliete?…"
Trentacinque gradi, umido, l’aeroporto dall’aspetto di un mercato rionale, le grida di chi deve ritirare le  valigie, l’assenza di acqua nei bagni (Renato ne ha fatto le spese), gli operai stesi a dormire sul nastro che non funziona, i bambini all’uscita che vendono uova rotte e sigarette ma chiedono penne e cioccolato, l’assalto delle persone che volevano portarci i bagagli in macchina, la sparizione dell’unica valigia di Angela (sarà stato un furto o solo un prestito?)… ma per fortuna altre cose ci hanno allietato: per esempio lo scoppio in diretta della ruota posteriore di un furgone carico di persone che passava davanti all’aereoporto. "Jà la peppa!" è stato il commento di Cristina, anche perché l’autista mica si è fermato! Ha aperto lo sportello mentre il veicolo continuava la sua marcia, ha constatato il problema e allegragramente ha proseguito la sua corsa per paura che la polizia aeroportuale lo multasse per sosta in zona militare…
sono le ore 23:00, siamo tutti riuniti intorno al nostro portatile e stiamo cercando di mettere nero su bianco un racconto comune nonostante le nostre differenti visioni. Non è sdrammatizzare ciò che abbiamo visto ma è semplicemente raccontare un’umanità che poco ci appartiene. Ci auguriamo di far trasparire da queste poche righe quello che stasera è il nostro messaggio comune: spesso ti accorgi che dove c’è miseria c’è mancanza di regole. Per fortuna il Congo non è solo questo… la sfaccettata cultura africana proprio oggi abbiamo avuto il privilegio di toccarla con mano. Ad accoglierci un paesaggio colorato, odori travolgenti, sguardi curiosi e penetranti che sembrano volerti chiedere qualcosa. Cosa dare? Ce lo siamo chiesti più volte oggi. Dopo questo inizio di giornata a dir poco travagliato, abbiamo trovato una punto fermo: un tavolo apparecchiato e delle succulenti pietanze locali nel seminario di Santa Kangwa nel centro di Kinshasa.
E questo può essere un buon punto di partenza.

Barbara del Fallo

 


 

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