Una Africa che ci fa riflettere
Venerdì 24 Ottobre 2008la nostra esperienza in Africa è stata intensa e costruttiva per tutti noi, una ricchezza e un punto di partenza per molti…tuttavia è capitato anche di confrontarci con realtà che non ci aspettavamo e che ci hanno sorpreso.
Mi riferisco in particolare alle volte in cui è stata percepita una dissonanza fra le vostre, nostre, aspettative e la vita reale dei luoghi che ci hanno ospitato, con le loro dinamiche, a volte difficili da comprendere.
Siamo partiti per l’Africa con il desiderio di comprendere meglio i modi per dare un contributo, qualunque esso fosse, per sostenere il processo di salvaguardia e insieme di sviluppo di questa terra, con tanti sogni, idee, progetti. Certamente è auspicabile che l’intento di tutti coloro che scelgono di impegnarsi a sostegno di questa terra d’Africa e dei P.V.S. in generale, sia quello di:
- diventare “portatori sani” della solidarietà e contagiare quante più persone possibili con generosità, gratuità e sincerità di cuore;
- concorrere, ognuno con le proprie forze e anche soprattutto nel proprio quotidiano, a promuovere la crescita e l’autosufficienza dei popoli che la abitano.
Ma a volte, di fronte ad una realtà difficile come quella africana, dove spesso le regole e le consuetudini del mondo occidentale, in cui siamo cresciuti e a cui siamo abituati, sembrano capovolte o semplicemente non esistono, si è costretti a rinegoziare le proprie aspettative, rivedere programmi, obiettivi e metodi. Si è costretti a fare scelte che possono incontrare disapprovazione e biasimo, che non vengono capite, soprattutto da coloro che non conoscono a fondo la realtà in cui si è immersi.
Per chi non avesse compreso mi riferisco in particolare all’episodio del “bambino picchiato” che, anche se ampiamente discusso in occasione dell’incontro di sabato 18 ottobre, ha destato amarezza in alcuni di voi ed ha aperto una finestra su una realtà che non ci aspettavamo. Inutile negare che l’episodio ha scosso qualcuno e credo che umanamente chiunque ne sarebbe rimasto colpito. Tuttavia invito a non dimenticare, non sarebbe onesto, ma a cercare di comprendere, a guardare a quel gesto o a quei comportamenti come inseriti all’interno di un quadro i cui contorni sono più cupi di quelli che conosciamo, contorni che pure ci sfuggono.
Padre Daniel sa, perché la vive, quanto è dura la vita in Africa in particolare per i giovani. Una vita ingiusta dove i ragazzi crescono vittime della violenza, schiacciati e plasmati da un giogo che non hanno scelto: vittime quando subiscono la violenza e vittime quando la esercitano, perché hanno fatto proprie delle modalità di relazione distruttive. Questo certo non giustifica il ricorso alla violenza in chiave educativa, giacché tutti sappiamo che la violenza altro non fa se non alimentare se stessa, ma può contribuire a spiegare perché in situazioni di particolare stress o di pericolo, per l’incolumità propria o degli altri, di fronte all’impossibilità di gestire un problema o una crisi – che pure capitano di frequente in contesti così difficili - facendo appello alla razionalità, al buon senso, alla disponibilità all’ascolto dell’interlocutore, si possa esser costretti ad adottare un atteggiamento di particolare fermezza, duro fino quasi al limite del rispetto verso l’altro.
Non chiedo di giustificare ne sarebbe corretto farlo, ma invito tutti a cercare di comprendere le ragioni che sottostanno a certe scelte.
Piuttosto credo sarebbe utile fornire a coloro che vivono questa difficile realtà, sacerdoti o aspiranti tali compresi, nei paesi piagati dalla miseria e dalla guerra, di un supporto ulteriore nelle loro attività, di una rete, magari costituita da persone che possono offrire competenze diverse, che possa più facilmente gestire, contenere e risolvere situazioni di crisi, o che possa intercettare bisogni, esigenze, sofferenze che spesso sfuggono a coloro che sono impegnati su molti, forse troppi fronti, per soddisfare questi bisogni, sciogliere per quanto possibile queste sofferenze, canalizzare energie e potenzialità verso percorsi costruttivi.
Io credo che se tutti, come ritengo sia, abbiamo a cuore gli stessi obiettivi, e se ci disponiamo in un atteggiamento di apertura e di confronto (anche solo cominciando col pensare per qualche minuto, ogni giorno, con rispetto e gratitudine a ciò che abbiamo visto) - pronti a mettere in discussione le nostre certezze o i nostri giudizi – potremo dare il nostro piccolo ma importante contributo per aiutare a ridisegnare contesti e situazioni e per sperare di lasciare un mondo migliore.
Associazione LumbeLumbe
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