Il ritorno
Mercoledì 20 Agosto 2014Negli ultimi undici mesi mi ha accompagnato una strana sensazione, difficile da spiegare. Molti l’hanno definita “mal d’Africa”. Io non so bene se sia il termine appropriato. La mi unica certezza e che contemporaneamente ho provato un senso di vuoto, malinconia e il desiderio di ritornare in un paese che un anno fa mi ha permesso di fare una delle esperienze più belle della mia vita. Proprio questa voglia è stata soddisfatta, quasi tre settimane fa, quando sono ripartita per l’Etiopia. È inevitabile il paragone con l’esperienza fatta l’anno scorso, proprio per questo gli occhi, che sono stati colpiti da nuovi paesaggi e nuovi volti, sono di sicuro meno sognanti e più consapevoli della realtà rispetto allo scorso anno. Il paese che ho ritrovato è in continua evoluzione, anche grazie alla presenza dei cinesi, che si fa sempre più massiccia, tanto che i bambini chiamano tutti i bianchi “cinesi”.Alcune persone che abbiamo incontrato, ci hanno spiegato che questi ultimi riescono a vincere quasi tutti gli appalti, grazie alla presentazione di preventivi molti bassi. Per questo stanno diventando quasi gli esclusivi costruttori di strade e palazzi, per non parlare delle enormi industrie, prevalentemente tessili e dell’acquisto dell’unica compagnia telefonica esistente in Etiopia. Questa situazione, potrebbe essere positiva se non fossero utilizzati, per la maggior parte dei lavori, materiali scadenti che portano alla vanificazione di quanto fatto, nel giro di pochi anni, come è accaduto ad una delle strade principali di Addis Abeba, costruita solo un paio di anni fa. Mi chiedo quanto un governo tanto attento a preservare il proprio potere, possa permettere una “colonizzazione” così spietata ed “antieconomica”? Secondo il mio parere intervenire sullo sviluppo di un paese attraverso grandi opere è importante purché lo si faccia con strategie che funzionano e soprattutto pensando ed investendo contestualmente anche su altri importanti temi quali ad esempio: il sistema sanitario ed il sistema scolastico per i quali, in Etiopia, è escluso l’accesso alla maggior parte della popolazione e, quelli che vi possono accedere, usufruiscono di servizi fragili ed inadeguati. Nonostante ciò nutro molta speranza perché ho incontrato delle persone Etiopi e non, che si stanno impegnando con tutte le proprie forze per migliorare la vita delle persone che vivono nei villaggi. Parlo di figure come Desta, padre Daniel e suor Delia, che possono essere considerati un esempio, perché credono in coloro che saranno il futuro dell’Etiopia, cioè i bambini. È proprio su questi ultimi che si deve puntare, per far si che il paese possa avere uno sviluppo sano ed allo stesso tempo rispettoso della propria cultura e della propria terra.
Valentina D’Arco
Pubblicato in Etiopia 2014 |