Secondo l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura delle Nazioni Unite attualmente le persone che soffrono la fame sono quasi un miliardo.
Una persona su sei non riesce ad avere una nutrizione adeguata per assicurare al proprio corpo il giusto apporto di proteine e calorie. Un dato sconcertante. Soprattutto se si pensa che negli ultimi quattro mesi, a causa dell’attuale crisi economica, le persone che soffrono la fame non sono più solo quelle che vivono nei paesi in via di sviluppo ma anche nei cosiddetti Paesi ricchi .
Secondo Wikipedia la fame “è riferita letteralmente al bisogno di cibo”.
Bisogno di cibo che per noi fortunati si traduce in quella sensazione che si crea dopo un lasso di tempo tra un pasto e un altro. Faccio colazione, dopo qualche ora avverto quella sensazione che non è proprio fame ma è come … un chiamiamolo “languorino”, allora mangio, fino all’arrivo del pranzo. E poi magari un altro spuntino e alla fine, la tanto aspettata cena. E se proprio voglio esagerare, mangio “qualcosina” anche dopo cena.
E si va avanti così, più o meno, seguendo le tendenze, gli abbinamenti giusti, i suggerimenti dei migliori chef che per essere tali non perdono i loro 15 minuti di celebrità sul grande schermo e quando ci sentiamo di aver esagerato, via con qualche dieta direttamente dalle super Star di Hollywood. E superato il periodo di restrizione si ricomincia, magari stando più attenti agli ingredienti, alle amate quanto odiate calorie, alla freschezza, vivendo con il terrore della data di scadenza di un prodotto.
E mentre noi ci disperiamo perché tra qualche mese ci sarà la fatidica “prova costume”, non molto lontano dalle nostre luccicanti spiagge, persone come noi muoiono perché non hanno di che sfamarsi. Persone malnutrite che non riescono ad assicurarsi nemmeno un pasto al giorno.
Per chi non soffre la fame come sofferenza fisica è difficile capire come si possa morire proprio di fame. Qui non si muore di fame, anzi si può morire di malattie connesse all’obesità, all’aver mangiato troppo e male.
La fame, per chi non la vive e per chi come me cerca di raccontarla, è solo una sensazione.
Una sensazione con scadenza (a tempo) e con un bipolare piacere (dal piacere bipolare).
La nascita della sensazione della fame, posizionata in un determinato momento, genera un non piacere, un piacere mancato da compensare il prima possibile. Il prima possibile riflette le nostre capacità, fisiche ed economiche, nel riuscire a placare la sensazione di fame mangiando fino al piacere della sazietà, ma anche oltre. Ho fame, cerco ed ottengo il cibo. La mia vita continua. Questa è una delle tante e belle “certezze garantite” dal nostro sistema.
Ecco, è proprio questa “certezza garantita” che manca nei paesi in via di sviluppo ma cha attualmente sta interessando anche il mondo ricco.
(Io non so cosa si possa provare nell’avere la certezza che non ci siano certezze. Vorrei avere il potere di fare quello che penso per cercare di cambiare il mondo. Ebbene si, con presunzione dico:
io voglio cambiare il mondo perché questo che ci hanno dato oggi proprio non mi piace.)
Domenica abbiamo parlato di fame, abbiamo parlato di aiuti veri ma anche di “food for a war”. E se nei prossimi acquisti cercherò di leggere bene l’etichetta, non lo farò solo per la “linea” ma lo farò per capire da dove proviene ciò che sto comprando. Perché se è giusto esportare ed importare, è anche ingiusto importare un prodotto in un’Italia che lo produce. Non sarebbe più giusto dare a chi non ha?
Non è un pensiero da quattro soldi ricopiato e ben stampato, esistono realtà che basano le loro politiche proprio sul “give it to doesn’t have” e secondo me è una cosa buona. Semplice e buona.
Assunta Giannico