Provincia di Macerata

Sohrab

Mercoledì 24 Febbraio 2010

 Antonella Dipaolo

Ore 8.30. Il vento finalmente si è placato, ma non sembra voglia smettere di piovere. Sono a Roma, davanti all’ingresso della FAO. In anticipo, ma con lo sciopero di oggi meglio in anticipo che non arrivare. Fra circa mezz’ora arriverà tutto il gruppo.
Programma della giornata: visita alla FAO e lezione all’Università Teologica San Bonaventura. Ma il mio pensiero si è fermato alla FAO.
Nell’attesa di entrare gioco con le goccioline d’acqua che, scivolando sulla parete alle mie spalle, disegnano delle lunghe linee. Allungando lo sguardo noto che il grande edificio alle mie spalle è circondato da una muraglia di pietra bianca, o un materiale che comunque rende asettica la sede. Un luogo dove prendono vita progetti tra i più coinvolgenti e trascinanti del mondo.
Sembra che il tempo non passi, o forse è la voglia di entrare che mi fa spazientire, così, nascosta sotto il mio ombrello, comincio a scrutare le persone che entrano nel cancello.
Cerco di omologarle, di trovare un minimo comune denominatore tra le centinaia di persone che mi passano davanti e vanno dritte nella sede della FAO, ma non ci riesco. Occhi a mandorla, capelli bianchi, capelli fino alle spalle, tacco 12, mocassini, ombrelli dai colori più svariati, e chi invece cammina come se non piovesse affatto, sicuramente inglesi. Chi parla francese, chi inglese, chi ascolta musica con le cuffiette, chi porta la ventiquattrore, chi uno zainetto sportivo. Persone dalla pelle di diversi colori: da quella bianchissima, quasi trasparente, a quella di un marrone così intenso da sembrar nero.
Curiosa, avrei voluto fermare ognuno di loro e chiedergli di cosa si occupavano e se erano consapevoli della grande fortuna del loro lavoro: aiutare altre persone. Non servivano parole, il mio volto, i miei sorrisi gli regalavano, per poco che sia, la mia massima ammirazione.
Pian piano arrivano le altre mie compagne. Sempre sorridenti, entusiaste, nonostante la pioggia incessante. Entriamo nell’edificio, mostriamo la nostra carta d’identità e riceviamo un pass giornaliero. La nostra visita prende il via da una piccola scalinata e, prese dallo scattare foto, iniziamo a perderci fra corridoi, ascensori, scalinate, porte, bagni, scaffali, tutto sembra uguale. Alla fine arriviamo alla Niger Room: una grande sala con al centro un tavolo ellittico circondato da sedie. Prendiamo posto e i pensieri iniziano a fluttuare.
Chissà chi si è seduto sulla “mia” poltrona? Chissà che cosa è stato deciso in questa stanza? E poi quelle decisioni avranno avuto degli esiti positivi? Mentre penso a queste domande, una gentilissima signorina inizia a parlare descrivendoci la FAO. Prendiamo tutte appunti, ognuna con il suo block notes e penna, perché un’occasione del genere è davvero unica. Terminata la presentazione, un funzionario Senior della FAO, Luca Alinovi, nostro ospite al corso qualche settimana fa, introduce vari argomenti, evidenziando quel “minimo comune denominatore” del quale andavo a caccia questa mattina. Non lo avevo individuato quando ero sotto il mio ombrello perché mi ero soffermata solo su ciò che vedevo: forse la società di oggi insegna che ciò che vedi da fuori mostra il successo di una persona. A volte la spiegazione è proprio in ciò che non vedi: l’impegno, la dedizione, lo studio e culture che creano un gruppo eterogeneo, compatto, che si mette in gioco ogni giorno con le dinamiche del mondo. Sembra di respirare aria nuova. Ascolti quelle parole che ti aspetteresti sentire all’università, nei luoghi dove stai eseguendo uno stage, posti che rappresentano in quel momento l’orizzonte delle tue prospettive. Le persone a cui tendiamo per un nostro interesse professionale spesso trascurano l’incoraggiare, invitare a fare di meglio, spronandoci. E invece qui, in questa gigantesca sede internazionale con 3.000 persone che ogni mattina passano quel cancello parlando lingue diverse, sento che anche il mio futuro può essere messo in gioco. Aggiornarsi, informarsi, accanirsi per le proprie idee, sbattere il muso, rialzarsi, vivere con umiltà, dare credito a idee valide anche se distanti da te, sono le parole chiavi per entrare a far parte del mondo, nel senso stretto del termine.
Il mondo non ci aspetta e soprattutto non si accontenta delle nostre giustificazioni.
L’entusiasmo, l’euforia con cui queste poche parole hanno infiammato la mia ambizione, sono state emozioni del tutto nuove. L’incoraggiamento dei famigliari rimane la solida base per aprirsi, per andare a vivere lontano da casa, buttarsi in situazioni completamente differenti dal passato, ma è importante, affacciandosi sul mondo del lavoro, trovare chi ti incita a “buttarti” confidando nelle tue capacità. Quanto ci hanno raccontato di loro i due collaboratori del Funzionario Luca Allinovi è stata la prova di tutto questo pensiero.
Siamo andate poi tutte a pranzare alla mensa della FAO ritrovandoci in una moltitudine di persone, dove non pensavo a me stessa come italiana, ma come semplice cittadina del mondo, un mondo che non avevo mai incontrato in quattro anni a Roma. Chiedere “sorry” invece di “scusa” era qualcosa che mi veniva spontaneo, come se fossimo tutti proiettati in un’altra nazione, dove l’individualità fosse parte di una dimensione collettiva.
Non credo di poter dimenticare questa esperienza e credo lo stesso sarà per le mie compagne.
Uscendo da quel cancello mi sono chiesta due cose: perché non aprire le porte di questa sede internazionale per mostrare quale potenziale può offrire anche solo un luogo di lavoro? E ci sarà una seconda volta?
Sohrab: "Una volta quando ero molto piccolo, mi sono arrampicato su un albero ed ho mangiato delle mele verdi, acerbe. La pancia mi si gonfiò e divenne dura come un tamburo. Mi faceva male. La mamma mi spiegò che se avessi aspettato che le mele fossero mature, non mi sarebbe successo niente. Così adesso quando desidero molto qualcosa, penso alle mele"
 

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la conquista della “Libertà dalla Fame”

Giovedì 11 Febbraio 2010

 Antonella Di Odoardo

Una giornata all’insegna della riflessione, dell’ inadeguatezza ma anche di stimoli nuovi. Questo per me è stato il senso dell’ultima lezione tenuta dal dott. Luca Alinovi.

Riflettere su argomenti come la fame, la malnutrizione, la distribuzione iniqua delle risorse, accompagnati da numeri e quantità, mi ha dato un’idea ancor più chiara di quanto il problema sia reale.

Silenzio e menzogne, più o meno pietose, consentono alla coscienza di molte persone (che non vivono in questo stato di emergenza), di  non preoccuparsi di tutto ciò, di accantonare il problema.

Mi sono resa conto di come, a volte, diritti fondamentali riconosciuti all’uomo come la libertà e l’uguaglianza, in queste circostanze vengano negati: la fame non ci rende liberi, ma porta ad uno stato di continua dipendenza e la disuguaglianza non è determinata dalla scarsa sussistenza di generi alimentari ma dalla mal distribuzione degli stessi.

E’ infatti scioccante pensare ai contrasti che ci sono fra le varie parti del mondo: carenze alimentari da una parte, eccesso di cibo e sovrabbondanza dall’altra.

L’esperienza estiva in Angola mi ha dato modo di capire come molte cose per noi scontate quali l’accesso al cibo, rappresenti invece una faticosa conquista per altri: bambini che il più delle volte giocavano nel campo della missione tenendo in bocca bastoncini o residui di dolciumi raccolti da terra, mentre noi facevamo un‘abbondante merenda.

L’approccio provocatorio e, a volte, anche duro di Luca ha suscitato in me una forte “scossa emotiva”: ho provato prima rabbia, poi senso di inadeguatezza.

Rabbia per le precarie condizioni a cui miliardi di persone devono far fronte ogni giorno, inadeguatezza per la conoscenza superficiale dell’argomento che mi ha impedito più volte di intervenire.

Nelle sue parole ho percepito anche un invito, ossia quello di porsi degli obiettivi nella vita, degli scopi da portare avanti. Non bisogna solo “interessarsi” a questi, ma “impegnarsi” a realizzarli: è importante sviluppare una propria visione personale, un parere chiaro che sarà il risultato di uno studio continuo e da una conoscenza approfondita dell’argomento.

La voglia non basta, occorrono anche una buona dose di volontà e di impegno.

E’ ora di iniziare, iniziare a contribuire a garantire a tutti gli esseri umani la conquista della “libertà dalla fame”.

 

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il mio sogno è in costruzione!

Lunedì 8 Febbraio 2010

  Silvia Bellabarba

Colgo l’occasione per ringraziare il Prof. Alinovi Luca per l’intensità dei contenuti trasmessi, per gli stimoli, per la capacità di raccontarci il suo lavoro, e perché nel suo raccontarsi ho percepito la possibilità di unire in un’essenza di impegno, determinazione, correttezza etica, le due sfere della vita, privata e pubblica, valore e azione,  spesso incoerenti tra loro.

La coerenza che mi ha meravigliata l’ho letta nei toni freddi con cui ci è stata riferita la cifra di affamati cronici nel mondo. Non per generare pietismo, ma per affermare una realtà.

Resta difficile riconoscere e incarnare i propri valori, che rischiano di disperdersi nella inconsistenza di rapporti che inseguono l’individualità, con la conseguenza prima di evitare il confronto con quelle che sono le risultanti delle proprie azioni.

Inadeguatezza, silenzio, strumenti, sicurezza, sono le parole sulle quali voglio riflettere.

Ieri ho provato un senso di inadeguatezza (anche per essere arrivata e uscita fuori orario J),che non sono nemmeno riuscita a comunicare.

Inadeguatezza paralizzata dal silenzio.

Nel mio silenzio ho sentito vicino più che mai il silenzio di chi non ha strumenti, di chi non può denunciare la sua realtà perché senza il cibo non può permettere alla sua voce di esserci.

Nel mio silenzio sono fermentate la voglia di esserci per contribuire allo stop delle diseguaglianze stimolando la consapevolezza degli animi, educando alla solidarietà; il bisogno di considerare la diversità come valore; la consapevolezza che lo studio e la dedizione sono necessari per definire  soluzioni accurate in base alle esigenze dell’altro; la comprensione che essere attenti ai bisogni dell’ altro è una risorsa per mettere in campo la propria umanità, un allenamento per amare le proprie fragilità.

Infine, in fondo al mio silenzio ho visto braccia di bambini allungate verso l’alto, mani vuote che si ritraevano. La realtà del miliardo di persone che soffre di fame cronica.

Come ci si può ribellare sentendosi inadeguati, sentirsi adeguati senza sicurezze, sicuri senza strumenti adeguati per sopravvivere?

Appropriarmi di strumenti adeguati che mi rendano sicura, agire senza sottrarre all’altro diverso da me la possibilità di esserci con i propri strumenti, questa è la mia direzione.

E il mio sogno è in costruzione!

 

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VOLETE ESSERE PARTE DELLA SOLUZIONE O PARTE DEL PROBLEMA?

Lunedì 8 Febbraio 2010

  Caterina Susanna Cognigni

In genere si frequentano corsi di formazione per avere delle risposte, ma la vera risorsa è nelle domande. Domande da tenere aperte resistendo all’illusione delle rassicurazioni estemporanee, delle idealizzazioni pret-à-porter, dei pietismi autoritari.

Volete essere parte della soluzione o parte del problema?

All’incontro sullo sfruttamento del lavoro minorile sono andata con questi bambini, incontrati in Uganda, pensavo a loro in auto mentre raggiungevo Tolentino chiedendomi di cosa avrebbe parlato la dott.ssa Lay, chiedendomi se le loro voci dall’Uganda arrivassero fino all’ILO di Ginevra e/o viceversa.

 

 

Bambina che vende manghi Bambini che lavorano in una cava di pietre  Bambino che lavora con il bestiame Kabale (Uganda)

 

 

 

 

 

 

Volete essere parte della soluzione o parte del problema?

 

 

  

Di ritorno a casa dopo l’incontro, ho avuto l’immagine che ciascuna delle compagne di corso prendesse per mano ognuno di questi bambini ugandesi.. tutte insieme dalla loro parte!

 

(foto Paolo Patruno)

 

 

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nuova modalità d’azione: E M E R G E N Z A

Lunedì 8 Febbraio 2010

 
 Laura Becattini 

L’ultimo incontro non è stato semplice, non mi riferisco solo per l’argomento, economico applicativo che richiederebbe, per chi come me ha masticato poco l’economia, più tempo e maggior approfondimento, ma soprattutto per lo “schiaffo” che Luca Alinovi è riuscito a regalarmi.

Ho apprezzato Luca per lo stile accattivante del suo intervento, capace di catturare costantemente l’attenzione di tutte noi, per la sua didattica che ha reso comprensibile concetti lontani dal mio quotidiano; tuttavia è attraverso i racconti della sua esperienza, del suo lavoro, delle sue “frecciate”contro la nostra, la mia, modestia, di cui comunque ero consapevole ma che ieri, con Luca, mi si è violentemente “concretizzata”…sto ancora elaborando la serie di input che ho ricevuto. Incomincio a pensare che questo corso sia una sorta di viaggio non solo conoscitivo di un mondo che non avevo mai avuto il piacere di conoscere, ma anche di una rielaborazione delle certezze ed incertezze che ho acquisito sino ad ora. Sono spossata ma contenta.

Sono sensazioni nuove e stimolanti…sposterò la leva del mio cambio su modalità d’azione “e m e r g e n z a” !!!

Tra la fame, la mancanza di sicurezza alimentare, i modelli di produzione, la “bolla” che infligge tutti noi, le nostre scelte consumistiche che si ripercuotono a valanga su innocenti, altri uomini e l’ambiente, e quindi l’inquinamento…forse non tutto è perduto!! La SOBRIETA’ come stile di vita (o i TABU’ di Monsignore Jean Marie Mpendawatu, ed i BAMBINI di Maria Gabriella Lay) deve essere la strada maestra. Una sobrietà nel risparmio, nel consumo, nell’aiutarsi reciprocamente…dandoci tutti la possibilità di produrre cercando di migliorare la qualità dei prodotti e, quindi, della vita.

Che dire poi delle nuove amiche?! Finalmente incomincio a ricordarmi i vostri nomi ed a collegarli ai volti…ma soprattutto devo dirvi grazie perché i vostri interventi mi arricchiscono.  J

 

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Siamo mortali ma possiamo fare molto se lo vogliamo”;

Venerdì 5 Febbraio 2010

  Laura Becattini

 

Prendere coscienza della lotta quotidiana, dell’ingiustizie nei confronti dei deboli e della peggiore “povertà”, quella interiore, quella dell’ignavi. Toccare con gli occhi e guardare attraverso le parole la sofferenza degli “altri”, sensazioni mitigate e confortate dall’ottimismo e dall’energia spirituale di Mons. Jean Marie Mpendawatu e dalla forza materna di Maria Gabriella Lay. 

 

E’ difficile esprimere a parole quello che ho provato in questi primi due incontri; osservo commossa e faccio mie le parole, piccole frasi piene di speranza: “ Siamo mortali ma possiamo fare molto se lo vogliamo”; “ Il bambino è un padre per l’uomo”.

 

Ora aspetto con curiosa impazienza di poter fare tesoro delle nuove esperienze che il corso mi regalerà  e di arricchirmi nel confronto con le  “bellissime” compagne di questo percorso.

Grazie!!

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profili delle frequentatrici del corso di Orientamento alla Solidarietà

Giovedì 4 Febbraio 2010

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Un bambino in pericolo è un bambino che non può aspettare

Domenica 31 Gennaio 2010

    Ilaria Ferretti

Che dire…giornata intensa e stimolante! Sono rientrata ora dal corso ed avevo il desiderio di condividere con voi i pensieri che mi stanno “frullando” in testa, visto che siete le mie compagne di avventura! Le immagini che abbiamo visto oggi mi hanno attivato dentro un senso di responsabilità individuale che ignoravo…questo a testimonianza di come sia vero che nella vita ci sono delle opportunità che non si possono perdere e quella di questo corso, che ci permette di confrontarci con docenti di fama internazionale e di interrogarci nel profondo, credo ne sia un esempio. Ho avuto modo nel mio lavoro, sia come educatrice che come insegnante, di avvicinarmi alla sofferenza dei minori, al loro disagio causato spesso dal mondo degli adulti ma vedere, attraverso immagini e video, i loro corpi sfruttati mi mette davvero in discussione e mi sollecita ad uscire dal mio piccolo mondo. Se è vero, e io credo fermamente che lo sia, che “il bambino è un padre per l’uomo” forse dovremmo imparare a vedere nei bambini dei preziosi maestri, capaci di trasmetterci un profondo senso di giustizia e una grande forza di volontà. A volte mi è capitato di pensare che l’azione individuale non può fare la differenza e, inconsapevolmente, ho rischiato di cadere nell’indifferenza. Sono davvero felice dell’esperienza di oggi, delle parole ascoltate e di aver raggiunto la consapevolezza che, come sostiene la Dott.ssa Lay, “un bambino in pericolo è un bambino che non può aspettare”

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Si salpa!

Mercoledì 27 Gennaio 2010

   Caterina Susanna Cognigni

Si salpa! Ogni corso di formazione assomiglia a un viaggio, le cui tappe sono al tempo stesso previste e imprevedibili. Ci si prepara portando con sé un discreto carico di aspettative e scegliendo gli strumenti che si ritengono più adatti tra quelli conquistati nel proprio percorso personale, formativo e professionale, con la consapevolezza che occorrerà togliere ciò che si rivelerà superfluo per lasciar spazio al nuovo. Un corso di formazione sulla cooperazione internazionale ha insita la dimensione dell’aprirsi all’altro da sé: operare insieme con persone di altre nazioni, culture altre. Una sfida, alla quale quotidianamente ci alleniamo, parzialmente consapevoli, ma che risulta imprescindibile nell’affacciarsi alla cooperazione internazionale, contesto nel quale l’intenzionalità dell’azione cooperativa e transculturale si rivela fondamentale fattore di protezione della fertilità del confronto. Ho annotato alcune parole emerse con forza dalla prima tappa di questo viaggio: incontro, umiltà, dignità, ricchezza del vivere. Monsignor Jean Marie Mpendawatu ci ha invitato a “essere un passo indietro” per essere in equilibrio e indurre equilibrio. Pensieri rivolti all’essere prima ancora del fare, che tracciano i contorni, la cornice, il contenitore, nella ricerca di senso di sé e dell’altro da sé. Pensieri accoglienti e pacificatori. Un respiro ossigenante per cogliere la dimensione spirituale e intimamente umana del noi, con un’appartenenza da costruire, come gruppo di formazione, come gruppo esploratore di un altrove che si rispecchia nei passi incerti di un cammino iniziato chissà quando, chissà dove.. Buon viaggio! A me, a noi!

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la lunga fila dei respinti.

Venerdì 11 Settembre 2009

Questi i risultati dei test di ammissione alle classi terza e quarta della scuola Lasalle: 99 domande e 3 ammessi, 115 richieste, 5 selezionati.

Zwavi: un piccolo cartello comunica che il giorno dopo verranno aperte le iscrizione alla prima classe dell’asilo. L’orario segnato è alle 9, ma alle 9 e 15 si chiudono i cancelli.

Forse verrebbe da pensare che le scuole dei missionari, fratelli cristiani a Meki e suore salesiane a Zwai, abbiano aule piccole, ma non è così: la scuola di Meki ha in totale, divisi nelle 12 classi del sistema etiopico, 1580 studenti, la classe d’asilo di Zwai ha 60-70 bambini.

Alle 9 di sera, davanti all’asilo c’era chi prendeva posto per essere il primo della fila dopo una notte passata in coda; 500 le richieste quando hanno chiuso i cancelli.

Studiare in una scuola come la Lasalle di Meki significa che, dopo duri sacrifici (si studia dalle 8 alle 5 del pomeriggio, con una pausa pranzo di un’ora e mezza, dove chi non ha i mezzi non mangia), si sarà ammessi all’università.

Qui in Etiopia le classi sono 12, c’è un esame tra la classe 10a e l’11a, due anni di preparazione per l’università (11 e 12), poi un esame di ammissione. Chi lo passa va all’università e la possibilità di scelta della facoltà dipende dal voto ottenuto: migliore il voto, più ampia la scelta.

135 - 133, 130 - 129: questi i risultati degli esami di ammissione alla classe 11a e all’università: praticamente la totalità degli studenti.

Qui l’università significa lavoro, significa sicurezza e realizzazione. E’ gratuita, o meglio: si paga a rate quando si lavorerà, terminati gli studi.

Chi non entra al Lasalle o all’asilo delle salesiane di Zwai andrà in una scuola governativa, dove la certezza di arrivare all’università non c’è.

Ma allora, quei tre ammessi alla terza, quei 5 ammessi alla quarta, i bambini che entrano nell’asilo?

Nel caso dell’asilo le suore sanno che i bambini che entrano nelle loro scuole verranno seguiti fino all’università, e vogliono scegliere quelli che più ne hanno bisogno. Quei 500 che hanno richiesto l’ammissione per i propri figli sono stati sottoposti ad un’intervista, volta a conoscerne la vita economica e sociale: si darà precedenza ai più bisognosi.

Nel caso del Lasalle, invece, sono quei ragazzi cui la scuola può permettersi di pagare interamente la retta; una manciata rispetto ai 1580. Quel 50% circa di studenti interamente paganti copre le spese anche per quelli che non possono. I bambini sostenuti a distanza sono circa una ventina, e il direttore, Belayneh, bussa di porta in porta per trovare dei fondi per avere più studenti, perché qualcuno non adotti il singolo ragazzo, ma la scuola: la quota mensile andrebbe a coprire le spese dei salari, dei materiali…

Ragionando con un occhio al presente, uno al futuro e i piedi piantati nella certezza della provvidenza, stanno costruendo un ostello per 60 ragazze.

Se prima c’era diffidenza nei confronti delle scuole, che toglievano forza lavoro tanto che Suor Elisa, salesiana, ci raccontava di come all’inizio i bambini dopo la scuola facevano dei lavoretti per i quali ricevevano dei soldi. La loro presenza a scuola era motivata dal denaro che portavano in casa. Perché i lavoretti? perché denaro in cambio di nulla non è educativo. Ma se prima era così ora lunghe file di persone chiedono una possibilità per i propri figli.

La speranza è che le generazioni che stanno nascendo, andando a sostituire quella al governo, lavoreranno sulla propria esperienza.

Emanuele Ferrarini:

 

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