La ricchezza piu’ grande e’ il congolese

 

Come ci era stato citato già da molti giorni da Italo e Don Daniel, oggi è stata una giornata importante. Alle ore dieci del mattino ci siamo recati nella zona centrale della città per incontrare il Nunzio Apostolico, l’Ambasciatore ufficiale del Vaticano a Kinshasa. Abbigliati con gli indumenti più consoni possibili ad un incontro di questo genere, ci siamo presentati all’appuntamento con una puntualità poco africana. Con il nostro impossibile taxi da quattordici posti, o meglio ufficiale da nove posti ed ufficioso da quattordici e talvolta anche di più, siamo giunti a destinazione. Una ”strombazzata” di clacson e l’importante cancello di ferro si è aperto davanti a noi. Un giardino immenso decorato da alberi e fiori di ogni genere e persino da una piscina, ci ha accolto in un ambiente molto vicino a quello di casa nostra. Ci hanno fatto accomodare in una stanza ampia e luminosa, sfarzosa ma allo stesso tempo semplice ed essenziale. I mobili, i quadri, le poltrone, le sculture, le tende … ogni cosa era al suo posto. Timidamente seduti su poltrone di una comodità che avevamo quasi dimenticato aspettavamo il padrone di casa. Ecco spuntare da una grande porta una figura minuta con un abbigliamento semplice ed al tempo stesso elegante. Ci saluta uno per uno, ci chiede chi siamo da dove veniamo e quale è il nostro compito qui. Ci tratta in modo familiare e molto cordiale. Consapevoli dell’unicità dell’incontro abbiamo cercato, con cautela e discrezione, di fargli le domande che avevamo preparato la sera prima. Ma lui sembrava non avere bisogno di domande, inizia a parlare della terra che lo ospita con competenza e professionalità. Ci racconta della sua esperienza di Nunzio iniziata sette anni prima quando la guerra civile devastava ancora il paese e iniziava quella profonda lacerazione degli animi umani oggi giunta al suo culmine. “La ricchezza più grande di questo paese è il Congolese” dice. “Bisogna formare l’uomo nella sua globalità, dargli fiducia e farlo sentire capace”. “Educare l’uomo? In che maniera? E quali sono gli interventi che noi “piccoli” volontari potremmo mettere in atto per gettare le basi di un’opera così grande?”, gli chiediamo. Le risposte sono brevi e precise. Ci dice che non sono le opere mastodontiche e troppo visibili ma microinterventi che vadano a soddisfare le esigenze della popolazione poco a poco. Bisogna fare piccole cose affinché possano essere gestite bene e mantenute funzionali. Non servono grandi ospedali, ma piccoli centri sanitari di prima accoglienza. Su questo siamo perfettamente d’accordo, riconosciamo nelle sue parole la nostra strada, la nostra “missione”. Ma quando osiamo chiedergli il perché l’Europa, e soprattutto l’Italia da una visione piuttosto approssimativa e semplicistica dell’Africa e nel caso specifico del Congo, lui non esita a darci un altro compito, forse molto più impegnativo e delicato: “In Europa non si parla molto d’Africa. Quando tornate a casa cercate, con tutto il vostro impegno di essere i testimoni di una realtà difficile a tratti molto triste, ma cercate soprattutto di raccontare un paese che ha tutte le carte in regola per poter rinascere.

Barbara del Fallo